Tecniche di Motivazione al Lavoro per Sottometterci

spinti a produrre
come i leader ci sottomettono
Nonostante sia l'ultima cosa che vorremmo, ogni giorno della nostra vita ci alziamo stanchi, guidiamo per ore nel traffico e lavoriamo senza sosta; ci sforziamo di trarne soddisfazione, ma tutti sappiamo che in verità preferiremmo liberarci da questo pressante obbligo. Dove proviene la motivazione al lavoro che ogni giorno ci spinge a fare ciò che detestiamo?

In questo articolo esploreremo insieme i motivi per i quali ogni giorno siamo convinti che recarci sul posto di lavoro a "compiere il nostro dovere" sia la cosa giusta da fare e chi sono i burattinai di questo immenso teatrino chiamato società.



Buttare al vento la vita


A tutti è capitato di recarsi ad un funerale ed è molto probabile che partecipare a questo triste evento ci abbia spinti a porci domande piuttosto profonde, perché la cruda realtà provoca in noi una sensazione di forte lucidità, come se lo "shock" spezzasse la ragnatela di futili pensieri e facesse emergere quelli più profondi, che di solito non trovano spazio. Capita perciò di interrogarsi sulle motivazioni che ci spingono a sacrificare ogni giorno della nostra vita per cose che non amiamo veramente fare, come ad esempio sempre e solo lavorare, e chiedersi che senso abbia correre e preoccuparsi continuamente se poi tutto avrà una fine. Più di ogni altra cosa però comprendiamo con grande lucidità l'importanza di vivere la vita adesso, fintanto che abbiamo il tempo di farlo, senza rimandare ad un improbabile domani migliore.

Il "risveglio" dura poco, poi tutti torniamo composti ai nostri luoghi di lavoro e nell'arco di un paio di giorni la ragnatela si riforma e perdiamo la lucidità acquisita, riperdendo a seguire gli automatismi e gli schemi di sempre.

Con il termine "motivazione al lavoro" identificheremo l'insieme di tutte le subdole tecniche psicologiche che spingono ogni singolo individuo su questo pianeta a buttare al vento la propria vita lavorando. Catalogare tutti questi trucchi ci servirà per aprire gli occhi di fronte ad una serie di automatismi che molti non si sognerebbero di mettere in discussione, ma che se analizzati si rivelano essere gli anelli della catena che ci tiene legati alla società del lavoro e allo stato di schiavitù che ne deriva.

La nostra cieca dedizione alla produzione continua e senza sosta non si insinua in mo per caso; cresce e si sviluppa soprattutto nelle grandi aziende, dove ai manager viene insegnato a motivare i propri dipendenti lasciandoli ignari di essere vittime di veri e propri raggiri.



Stipendi ridicoli


motivazionale
Quanto guadagniamo lavorando? 1000 euro al mese? 2000? Per noi lo stipendio è la prima forma di motivazione al lavoro; lavoriamo per vivere, ma quando stiamo guadagnando veramente? Se guadagnassimo 2000 euro al mese significherebbe che stiamo vendendo la nostra vita a 12 (dodici) euro l'ora. Una miseria, figuriamoci chi ne guadagna 800. I nostri dirigenti sono perfettamente coscienti del fatto che nessuno fa questi conti, tanto che sono assolutamente certi che "abboccheremo" quando ci chiederanno ore di lavoro extra, in cambio di un premio in denaro che è solo apparentemente invitante, ma che in realtà è poco più che ridicolo.

Non dobbiamo dimenticarci che la vita è il bene più prezioso che abbiamo, non ha prezzo, ma se proprio volessimo attribuirgliene uno, allora credo dovremmo essere un filino più pretenziosi. Una prostituta di strada, perfettamente cosciente di star vendendo quanto di più prezioso possiede, male che vada vende la sua vita a 50 euro l'ora. Per quale motivo lavorare così tanto e vendersi per così poco, quando potremmo vendere una fetta molto minore del nostro tempo, e usare il rimanente per vivere veramente? Ciò che ci spinge a perseguire in questo suicidio dell'anima è la nostra cecità di fronte all'evidenza di lavorare come schiavi per non riuscire ad arrivare a fine mese, continuamente sfruttati da dirigenti che guadagnano montagne di denaro sulle nostre spalle, facendo leva sugli aspetti più reconditi del nostro subconscio, come ad esempio la paura.

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Violenza psicologica per motivare al lavoro


spingere la produzione
Cosa accadrebbe se perdessimo improvvisamente il lavoro? Il primo pensiero andrebbe alla mancanza di denaro, ma questa è solo una falsa preoccupazione: ogni giorno ricevo decine di email di persone che sono state licenziate o hanno lasciato un impiego che odiavano, e nessuna di loro è ancora morta di fame. Di fronte alle avversità siamo capaci di tirare fuori risorse che nemmeno immaginiamo; diventiamo più scaltri e ci reinventiamo in modi che stupiscono anche noi stessi.

La vera motivazione al lavoro è la paura di essere diversi dagli altri: nella nostra società i diversi non vivono a proprio agio, si sentono giudicati, la gente parla loro alle spalle, vengono additati ed emarginati. Se lavorare è il modo "normale" di vivere, non lavorare è motivo di vergogna e fallimento come esseri umani. I nostri dirigenti lo sanno bene, per cui si permettono di toglierci ogni diritto, conosci del fatto che abbiamo troppa paura di perdere l'unica cosa che ci fa sentire a nostro agio nella società. Perderanno qualche lavoratore, ma guadagneranno molto di più e abbasseranno sempre di più l'asticella, arrivando a creare un ambiente di lavoro più povero di diritti e più ricco di doveri. Sparpagliare le competenze non serve a rendere solida l'azienda, ma a fare in modo che ognuno si senta perfettamente sostituibile, mantenendo tutti in uno stato di perenne timore di essere licenziati.

Se non siamo indispensabili non abbiamo alcun potere contrattuale e la nostra paura aumenta: questa è una delle più terribili strategie nascoste di motivazione al lavoro, studiate e messe in pratica all'interno di tutte le grandi aziende, per esercitare una continua violenza psicologica sui lavoratori.



Le false aspettative di libertà


vivere per il lavoro
Il meccanismo del lavoro è appositamente strutturato in settimane per dare alle persone una perenne sensazione di avere un traguardo da raggiungere, ovvero arrivare al venerdì e godersi il meritato riposo. Se così non fosse, se ad esempio si lavorasse per un intero mese e poi si avessero una decina di giorni di vacanza, la motivazione al lavoro verrebbe presto a mancare, perché le persone non solo sarebbero più stanche (questo è ovvio), ma non avrebbero un obiettivo a breve termine che le motivi a tenere duro. In parole povere si accorgerebbero subito di non far altro che lavorare tutto il giorno, quindi sarebbero più propense ad opporsi al sistema.

La suddivisione in settimane e l'istituzione di due giorni di riposo su sette influisce anche in un altro modo sulla motivazione al lavoro: ci addestra a pianificare la vita solo su brevi periodi di tempo, impedendoci di avere una visione a lungo termine del nostro futuro. Una conseguenza banale è che quasi tutti prenotiamo le vacanze con scarsissimo anticipo perché non ci pensiamo, siamo troppo occupati o convinti che potrebbe accadere qualcosa d'imprevisto, quando invece nelle nostre grigie vite non accade quasi mai nulla di straordinario. Una conseguenza meno banale, invece, è che non ci rendiamo conto che il traguardo finale, quello che ci libererà definitivamente dal peso del lavoro, arriverà quando ormai i giochi sono fatti, e la vita sta volgendo al termine; a quel punto avremo passato così tanto tempo al lavoro che non conosceremo altro che quello, diventando incapaci di goderci veramente la vita. Siccome non vogliono che realizziamo tutto questo, ci distraggono dandoci quei piccoli traguardi che ci fanno sentire temporaneamente felici.

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Far credere di far parte di qualcosa


incrementare la produttività aziendale
Un'altra tecnica ben nota, che serve per motivare le persone a lavorare sodo, è quella di farle sentire parte di una grande famiglia, dove ognuno contribuisce alla crescita dell'azienda. Se da un lato è vero che l'azienda esiste perché tutti fanno la loro parte, dall'altro il buon manuale del manager spiega chiaramente che far leva sul sentimento di attaccamento a qualcosa, permette di spremere a fondo le proprie risorse. Se un dipendente sente suo ciò che sta facendo, s'impegnerà molto e arriverà anche a fare gli straordinari o portarsi il lavoro a casa, senza chiedere nulla in cambio.

Questo obiettivo si raggiunge elogiando le persone e facendo credere loro che il ruolo che ricoprono è prestigioso. In questo modo la motivazione a lavorare spinge il singolo a farsi carico di doveri e responsabilità che non gli competono, sollevando i dirigenti da incarichi e decisioni che dovrebbero spettare loro, visto che generalmente guadagnano tre volte un normale dipendente.

E' così che il lavoratore più ligio e affidabile finisce per diventare la marionetta perfetta, che vive in un continuo inganno fatto di belle parole e pacche sulle spalle, dal quale si risveglierà solo quando l'azienda non avrà più bisogno di lui, e gli darà il ben servito, come la recente crisi ha ampiamente dimostrato.

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Conclusioni


Noi comuni mortali siamo spesso vittima di chi fonda la propria ricchezza sulla sottomissione dei più deboli; il mondo del lavoro è questo, persone ingannate di continuo, tenute allo scuro di decisioni e scelte, motivate a faticare duramente in cambio di un croccantino, mai sufficiente per sfamali. Ci tengono affamati, così avremo ancora bisogno di loro e daremo tutto per una causa che, attraverso le subdole tecniche di motivazione al lavoro, ci fanno credere sia nostra, ma della quale, in verità, non ci importa nulla.

Dai, siamo sinceri, ci importa veramente che la nostra azienda sia leader del settore? Che il sistema produttivo sia ottimizzato? Che cresca sempre di più? A noi importa solo che arrivi il venerdì, che sia bel tempo così possiamo andare a fare un pic-nic al mare, che i nostri figli siano felici. Se potessimo esprimere un desiderio chiederemmo che la nostra azienda diventasse grande, o che si realizzasse il sogno personale che abbiamo chiuso da anni nel cassetto?

La motivazione al lavoro serve a questo, a distogliere la nostra attenzione da ciò che ci importa veramente, facendoci credere che i nostri desideri siano altri; questo fanno, ci manovrano affinché desideriamo di lavorare, ma in fondo al nostro cuore sappiamo bene che la vita, quella vera, inizia nell'istante in cui il lavoro finisce.

26 commenti:

  1. Condivido in pieno, tutto vero!

    Avevo una società di informatica con diversi dipendenti, li sfruttavo bene bene e gli raccontavo un sacco di balle per sviluppare il loro senso di appartenenza. A qualcuno appiccicavo un'etichetta scenografica (Project Manager, Senior Developer, ...) e lo trasformavo in un piccolo Kapò.

    Poi mi sono reso conto che, allo stesso modo, forse peggio, il sistema sfruttava me e quindi ho chiuso tutto!

    Dimenticavo: quante cavolate racontavo quando facevo il docente ai corsi di comunicazione, lavoro di gruppo e management nelle aziende! Convincevo le "galline" a stare buone buone in batteria da sole, a controllarsi l'una con l'altra e fare più "ovetti".

    Buona libertà a tutti!

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    1. Poi nell'informatica mi sa che questa cosa è particolarmente vera ;)

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    2. Quando, per un progetto nuovo, avevamo bisogno di personale qualificato, per il mio socio era una sfida trovare persone preparata da sfruttare e pagare poco. Diceva (scusa la volgarità): "il mondo è pieno di culi!". Adesso mi rendo conto che anche noi che comandavamo...

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  2. se chi aveva una società di informatica fa questi commenti figurarsi per un normale operaio cosa vuol dire tutto il discorso presentato in questo blog; vuol dire che veramente siamo alla merce del lavoro e dei burattinai che ce lo propinano

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    1. Ognugno di noi deve trovare la propria strada per liberarsi dalla schiavitù di una lavoro opprimente e guadagnare dalle proprie passioni! Si può fare!

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    2. Articolo interessante, come sempre...mi chiedo però Francesco se guadagnare dalle proprie passioni sganciandosi dalla routine lavorativa,non rientri nell'arte di arrangiarsi molto comune da me al Sud...a volte ho quest'impressione.

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  3. Buongiorno
    Innanzitutto grazie infinite per la tua coscienza e per aprirci gli occhi su tematiche così importanti.
    Sono un ragazzo giovane che prima lavorava full-time e adesso lavora part-time. Ho chiesto di ridurre l'orario di lavoro perchè non ce la facevo più fisicamente e psicologicamente a lavorare tutte quelle ore.
    Adesso va meglio ma devo ammettere che ancora non mi sono liberato da quella sensazione di disagio e di sfruttamento.
    Quello che non capisco è se sia dovuta all'orario di lavoro che è ancora eccessivo nonostante sia part-time, oppure all'ambiente ansioso e stressante in cui quotidianamente vivo. Perchè effettivamente, come hai ben spiegato tu, la paura di poter essere sostituiti da qualcuno più bravo o che si impegna di più è tanta. E questa è l'arma migliore che hanno a mio parere.
    Se anche io provassi, come ho già fatto, a stare più tranquillo e impegnarmi il giusto (senza farmi in 4), mi sentirei "emarginato" dai colleghi che mi etichetterebbero come lavativo. Impegnarmi significa anche guadagnarmi la loro stima e sentirmi parte del gruppo, oltre a farmi sentire importante agli occhi del capo che furbamente non perde occasione per gratificarmi quando mi impegno tanto.
    Quando si vive quotidianamente in un ambiente del genere, si fa fatica a non "adattarsi". Ci si adatta per sopravvivere, perchè altrimenti sarei la pecora nera. Mi spiego?
    Come uscire da questa situazione? Ridurre l'orario di lavoro non è servito perchè così facendo volevo solo tenermi lontano da un ambiente in cui non riesco a vivere serenamente. E' questo il punto.
    Che siano 8 ore al giorno o 4, il punto è che non sono sereno.

    Più precisamente chiedo: devo cambiare lavoro? (tenendo presente che potrei ritrovarmi in un ambiente uguale o simile)
    oppure devo fregarmene del giudizio del gruppo nel quale mi sono integrato con fatica e smettere di avere paura di non andare bene?
    (quindi in poche parole riuscire a sostenere il ruolo di pecora nera, e affrontare con determinazione e sicurezza l'inevitabile emarginazione)

    Non è un problema piccolo. Quando si tratta di integrazione sociale non è facile trovare una soluzione. E purtroppo in tutti i lavori ormai tendono a giocare sugli aspetti che tu hai ben spiegato.
    Come uscirne?

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    1. Secondo me devi andare avanti restando integrato, ma creandoti una exit strategy nel tempo libero, la sera, al mattino presto ecc... e poi quando sei pronto mollare tutto, altrimenti rischi di vivere male anche il periodo di cambiamento e non avere la forza psicologica per portare a termine il progetto!

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  4. Hai ragione! Concordo! Anche io sono stata vittima di questo sistema: ho lavorato per anni per un'azienda a cui ho dato tutta me stessa, dimenticandomi di me e delle mie esigenze. Non programmavo ferie, nè uscite con gli amici perché volevo essere sempre pronta per l'azienda che mi aveva donato un ruolo di prestigio, anche se solo a parole e a fatti e non contrattualmente. Quindi il mio stipendio era come quello dello staff, ma in più donavo la mia vita. Finché 3 anni fa mi sono ritrovata a lavorare per più di 2 mesi di fila senza un giorno di riposo: con una ciste sul coccige e la morte di mia nonna (che consideravo come una madre ma a stento sono andata al funerale a causa di questo andazzo aziendale!). Ho iniziato a lamentarmi per la scarsa qualità della vita, chiedendo diritti per me e per gli altri, cercando aiuto dai sindacati ( ma hanno fatto finta di nulla ), ispettorato, etc... Morale della storia: hanno continuato a spremermi così per un altro anno, negandomi ogni libertà, facendo del mobbing e poi due anni fa, come se niente fosse, mi hanno licenziata, o meglio, pretendevano che rassegnassi le dimissioni, visto che avevo un contratto a tempo indeterminato. Ora sono due anni a "spasso" perché per il mondo del lavoro a 38 anni sono vecchia, ma non sono morta di fame... Anzi, continuo con la mia grinta, certa di averci guadagnato in salute, in rapporti famigliari, sociali, personali.. Come dire? Sono più felice ed ogni giorno scavo nel mio "io" per vedere cosa posso realizzare coi miei talenti. Un saluto.

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    1. Sì però dovresti raccontarci di che cosa hai vissuto per questi due anni! ovviamente con quello che hai messo da parte prima MA E' BENE SOTTOLINEARLO!

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    2. Posso chiederti come hai vissuto il passare la tua giornata al lavoro al passare la giornata senza un impegno fisso e 8-10 ore da impegnare. io se resto a casa impazzisco e mi deprimo. vorrei chiedere consiglio a qualcuno che è già uscito dal mondo del lavoro come si organizza la vita.

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    3. Se posso dire la mia, direi che ci vogliono hobby forti, che ti occupino il tempo, ad esempio scrivere, autoprodurre, fare sport, cucinare ecc...

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    4. @Valerio

      "Posso chiederti come hai vissuto il passare la tua giornata senza un impegno fisso e 8-10 ore da impegnare? Io se resto a casa impazzisco e mi deprimo." Ecco una frase - perdona il termine, nulla di personale - da "schiavo moderno" che ho sentito decine di volte, in genere da chi ha 40 o più anni ed è abituato da sempre a lavorare. Sapere che la gente, a parte lavorare, non sappia come vivere la propria vita, la trovo una cosa a dir poco agghiacciante. Se riesci a vivere la tua vita nonostante la mancanza del lavoro, vedi le cose da un altro punto di vista. Come ha scritto Francesco nell'articolo, "di fronte alle avversità siamo capaci di tirare fuori risorse che nemmeno immaginiamo; diventiamo più scaltri e ci reinventiamo in modi che stupiscono anche noi stessi". Senza il lavoro impari il valore di te stesso indipendentemente da tutto il resto, e poi vedi se il posto fisso in quell'azienda ti sembra ancora il massimo che puoi desiderare dalla vita... E poi non avere un lavoro o non avere un lavoro "ordinario" non implica necessariamente non fare nulla dalla mattina alla sera. Quoto la risposta di Francesco.

      Maria

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  5. Anch'io mi sono licenziata un anno fa. Ambiente di m.... Dove trattavano me e i mie ex colleghi come asini da soma. Mi sono licenziata perché avevo bimba è piccola e non mi concedevano il part time, per distanza ecc. Ho faticato a convincere mio marito a 'lasciarmi' a casa, e tanta gente inorridita mi ha detto...lasci un lavoro sicuro?! Per fortuna era evidente che non c'erano alternative. Se no chissà quanto mi sarei sentita in colpa!! Ora sono a casa con mia figlia. La mia vecchia azienda non mi manca nemmeno un po'. Non sento nemmeno più i miei vecchi colleghi perché vige la regola non scritta: o sei con noi o contro di noi. Però il mio lavoro mi piaceva. Infatti sto pensando di aprire p.iva e lavorare da casa...vedremo!

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  6. Bravo Francesco!!! Hai scritto un articolo stratosferico, hai colto esttamente il nocciolo del problema. Ho vissuto sulla mia pelle molte delle cose che hai descritto, sono arrivato al limite dell'esaurimento. Poi, l'anno scorso ho scoperto il tuo blog e il tuo libro, ed è stato come vedere i miei pensieri tradotti in chiaro. Grazie al tuo blog, al tuo libro e ad alcuni amici sono uscito dal mondo del lavoro, potendomelo permettere grazie ai risparmi e dall'aver coltivato un piccolo lavoretto che mi impegna un paio di mattine la settimana. Ora vivo più sereno, fuori dallo stress e dall'ansia, e a quelli che mi parlano di obiettivi, fidelizzazione del cliente, project manager e tutti quei bei paroloni roboanti, rispondo con una sonora risata!!!

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    1. Eh adesso non esageriamo :D Comunque anch'io ho vissuto tutto questo sulla mia pelle, ho visto colleghi diventare burattini, montarsi la testa per un pugno di mosche, per un autorità ridicola, un sostituto della vita, e quindi me ne sono andato. Bravo che che te ne sei andato anche tu, viva la vita :)

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  7. Ciao, è ormai qualche hanno che ti seguo con interesse e condivido in buona parte le tue opinioni, però a me non riesce uscire da questo mondo. Mi rendo perfettamente conto di quello che accade intorno a me, di certi meccanismi che anche tu descrivi, però non trovo vie di uscita. Sarà che vado per i 50, che sono donna, che ho figli o forse sono tutte scuse, ma non riesco a trovare il modo di cambiare. Sono anni che penso e ripenso come fare senza risultati. A volte credo che viva meglio chi non ha di queste riflessioni o consapevolezza...

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    1. Secondo me devi solo iniziare, anche solo lungo una strada che percepisci possa essere la tua, ma in modo graduale, poi strada facendo le cose vengono da sé, capisci cosa va e cosa non va, raddrizzi il tiro e trovi il tuo percorso!

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    2. "A volte credo che viva meglio chi non ha di queste riflessioni o consapevolezza." Quanto è vera questa affermazione. Ma sai, la consapevolezza è il primo passo per qualunque cambiamento verso la vita che davvero desideriamo. Quoto la risposta di Francesco e faccio il tifo per te :)

      Maria

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  8. Ciao a tutti! Condivido il senso generale del pezzo, però credo che i suoi contenuti finiscano per essere un po' riduttivi rispetto alla filosofia che sta alla base dello "smettere di lavorare" nel senso promosso dal sito. Intendo dire che, a mio avviso, questa filosofia non dovrebbe finire per appiattirsi sulla posizione del trovare il modo di porre fine alle sofferenze causate dal "faccio un lavoro che odio" e/o dal "vengo sottopagato e i dirigenti mi sfruttano e mi raggirano".
    Mi spiego meglio. Personalmente apprezzo le idee divulgate da Francesco e perseguo il sogno di smettere di lavorare per vivere delle mie passioni (non certo oziando tutto il giorno, sarebbe impossibile per me… ma riducendo invece i miei ritmi di vita e mettendo a reddito un paio di miei hobby: sto già lavorando ai relativi progetti, per portarmi avanti… :)).
    Allo stesso tempo, non ritengo affatto il mio lavoro odioso in termini assoluti, né guadagno poco.
    Sono un professionista Senior appartenente ad una organizzazione medio-grande (staff di circa 250 persone), la mia occupazione è stimolante e non mi dispiace dedicarle il mio tempo. Inoltre nessun dirigente mi "mobbizza" o mi raggira con tecniche seduttive particolari per spremermi in modo esagerato e/o infido. E' vero, la mia organizzazione utilizza in abbondanza la tecnica del farci credere di essere "parte di qualcosa"; però è anche vero che questo sforzo extra di identificazione e di assunzione di maggiore impegno ci viene poi remunerato profumatamente rispetto alla media del mercato.
    Insomma, devo dire che non sento di corrispondere all'identikit tracciato nell'articolo... Bene, direte voi, allora che vuoi da noi e che ci fai qui? Il fatto è che personalmente nutro lo stesso (o analogo) desiderio di "smettere di lavorare" che l'autore sembra attribuire soltanto a chi non ne può più di essere sfruttato in cambio di quattro soldi e di promesse non mantenute, e che quindi - ovviamente - detesta il suo ambiente di lavoro e non vede l'ora di liberarsene.
    D'altra parte, conosco invece tante persone che vivono condizioni lavorative decisamente peggiori delle mie e che, a differenza di me, non potrebbero vivere senza il proprio lavoro dipendente e la sua rassicurante funzione di inquadramento in società.
    Quello che voglio sottolineare è che, a mio modo di vedere, la filosofia dello "smettere di lavorare per iniziare a vivere" coinvolge qualsiasi categoria di persone, e non ha esclusivamente a che fare con condizioni avverse legate allo specifico ambiente lavorativo.

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  9. Molto bene, molto bravi, tutto ciò è molto rock and roll ;) vi voglio bene a tutti

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    1. Bello questo blog. Sono contenta di avertvi trovati! Sto organizzando la mia exit strategy pure io :)

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  10. Infondo il tempo è l'unica cosa che abbiamo, ed è un bene che prima o poi finisce. Infondo le cose che ci fanno stare bene non hanno prezzo.
    L'amore, l'amicizia, il benessere fisico e oggi anche la cultura.
    Saper dare la priorità alle cose giuste è la chiave per non cadere vittime del consumismo sfrenato e del sistema di schiavitù/lavoro.

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  11. Peccato però che tutti voi avete una connessione internet,che di fatto è operativa grazie a milioni di persone che ci lavorano dietro al sistema d'internet...mah!

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    1. Vatti a leggere la storia di come è nato Internet in Romania.
      La rete di cavi se la sono costruita i cittadini semplicemente connettendo tra loro i vari appartamenti dei condomini, poi i vari condomini fra loro e infine le varia città tra loro.
      Oggi è uno dei paesi con la connessione più veloce, 1.000 Mb/s!

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