Milano, 25 novembre 2025 – Come possono gli ambienti virtuali aiutare a costruire relazioni e abbattere i pregiudizi? È questa la domanda al centro di un progetto firmato EY Italia, insieme all’Istituto Italiano di Tecnologia e all’Università La Sapienza, che ha coinvolto quasi 200 visitatori nel Padiglione Italia virtuale di Expo 2025 Osaka. L’esperimento, realizzato tra settembre e ottobre, ha provato a capire se il digitale può diventare qualcosa di più di una semplice tecnologia: un vero e proprio laboratorio sociale.
Ambienti virtuali e relazioni: cosa succede davvero
Al centro della ricerca c’è la possibilità di vedere come le persone si comportano in uno spazio digitale popolato da avatar di diverse etnie. I partecipanti, per lo più italiani e giapponesi, si sono mossi tra scenari immersivi, simulando incontri e conversazioni. Dai dati raccolti emerge che la prossemica fisica – cioè il modo in cui gestiamo le distanze tra noi – si riflette anche nel mondo virtuale. Non è una sorpresa totale, come spiega Francesca Rossi, coordinatrice del progetto per EY: “Le differenze culturali restano evidenti anche quando ci si incontra tramite avatar”.
Distanze culturali che restano anche nel virtuale
Un caso concreto arriva dal confronto tra giapponesi e italiani. I giapponesi, secondo gli analisti, tendono a mantenere più distanza rispetto agli italiani, anche se sono immersi nello stesso ambiente digitale. “È un riflesso di codici sociali molto profondi”, aggiunge Rossi. La ricerca ha anche mostrato che la percezione di attrattività e affidabilità degli avatar influisce sulla distanza mantenuta: ogni punto in più nell’attrattività percepita riduce la distanza di 0,27 centimetri; per l’affidabilità, la riduzione è di 0,17 centimetri. Piccoli numeri, ma che raccontano molto sulle dinamiche della fiducia anche online.
Il digitale come nuovo spazio di socialità
Per i ricercatori, questi dati confermano che il virtuale non è solo un posto dove incontrarsi in modo diverso, ma un luogo dove si ridefiniscono i confini culturali. “Abbiamo visto che le persone sono pronte a cambiare le proprie abitudini quando percepiscono maggiore affidabilità o attrattività nell’altro, anche se si tratta solo di un avatar”, spiega Luca Bianchi, docente di psicologia sociale alla Sapienza. Insomma, il digitale può diventare un ponte per costruire fiducia e superare barriere, senza però cancellare del tutto le differenze.
Expo 2030, tra innovazione e inclusione
L’esperimento del Padiglione Italia virtuale anticipa temi che saranno al centro anche dell’Expo 2030 di Riad, dove l’innovazione tecnologica e la realtà immersiva promettono di rivoluzionare i rapporti interculturali. “Siamo entrati in una fase in cui la tecnologia non è più solo progresso tecnico, ma uno strumento per immaginare comunità più inclusive”, sottolinea Bianchi. Queste sperimentazioni a Osaka sono il primo passo di un percorso più ampio sul ruolo del digitale nella società.
Pregiudizi e sfide: la tecnologia non basta
Non è però tutto risolto dalla tecnologia. Come riconoscono gli stessi ricercatori, i pregiudizi culturali tendono a restare anche negli ambienti virtuali. “Il rischio è che si ripetano online le stesse dinamiche che troviamo nella vita reale”, osserva Rossi. Ma proprio la possibilità di provare nuovi modi di interagire può aiutare a superare almeno in parte queste barriere. “Solo allora – conclude Bianchi – potremo davvero parlare di una società digitale più aperta”.
I risultati completi della ricerca si trovano sul sito ufficiale del progetto. Nel frattempo, il laboratorio sociale del digitale continua a espandersi: tra avatar e realtà aumentata, il futuro delle relazioni passa sempre più spesso da uno schermo.