Genova, 5 novembre 2025 – Simone Monteverdi, 22 anni, è stato assolto per vizio totale di mente dall’accusa di aver ucciso la nonna, Andreina Canepa, a Chiavari nel settembre 2024. La sentenza è arrivata oggi dalla Corte d’Assise di Genova, che ha riconosciuto la sua incapacità di intendere e volere al momento del delitto. Monteverdi, però, non tornerà libero: dovrà restare per dieci anni nella Rems di Pra’, la struttura dove è già da oltre un anno.
La sentenza che chiude un capitolo difficile
La corte, guidata dal giudice Alessandro Bruni, ha accolto la richiesta congiunta di procura e difesa. “Il ragazzo non sapeva cosa stava facendo”, ha detto la pm Francesca Rombolà. La misura di sicurezza, che impone la permanenza nella Rems per almeno dieci anni, potrà essere rivista solo con nuove perizie psichiatriche. “Sarà compito dei medici controllare se le condizioni di Monteverdi miglioreranno”, ha aggiunto il magistrato.
In aula, l’avvocata d’ufficio Ilaria Tulino ha ricordato che il ragazzo non ha potuto scegliere il rito abbreviato a causa del legame familiare con la vittima. “Nonostante i segnali di disagio, nessuno è riuscito a intervenire in tempo”, ha sottolineato la legale, riferendosi ai problemi che Monteverdi aveva già da tempo.
Il dramma di Chiavari e le prime indagini
Era il pomeriggio del 14 settembre 2024 quando i carabinieri sono entrati in un appartamento di via Piacenza, a Chiavari. La scena era drammatica: Andreina Canepa, 78 anni, giaceva morta in cucina. Accanto a lei, il nipote Simone, sporco di sangue e confuso. “Abbiamo litigato, poi l’ho colpita con una forbice e l’ho buttata dalla finestra”, ha detto agli investigatori poco dopo.
Le indagini, coordinate dalla procura di Genova, hanno subito messo in luce la fragilità mentale del giovane. Monteverdi soffriva da tempo di disturbi mai davvero diagnosticati o curati. I vicini hanno raccontato di aver sentito spesso urla e litigi provenire dall’appartamento.
La diagnosi e le responsabilità del sistema
La perizia psichiatrica ordinata dalla corte ha confermato una grave malattia mentale. “Non era in grado di intendere e volere”, si legge nel documento depositato. Una situazione emersa fin dall’inizio e ribadita dalla difesa: “Il sistema scolastico e i servizi locali non hanno saputo cogliere il suo disagio”, ha detto l’avvocata Tulino, suscitando riflessioni anche tra gli operatori sociali presenti in aula.
La misura di sicurezza – dieci anni nella Rems di Pra’ – è stata considerata necessaria per proteggere sia Monteverdi sia la comunità. Solo nuovi accertamenti potranno decidere se potrà uscire prima.
Le reazioni dopo la sentenza
All’uscita dal tribunale, poche parole dai familiari di Andreina. “Non c’è giustizia che possa riportarci Andreina”, ha detto una parente, stringendo una foto della donna. Nessun commento ufficiale dalla difesa, che ha solo confermato l’impegno a seguire il percorso terapeutico del ragazzo.
Fonti vicine alla famiglia raccontano di segnali di disagio già nell’adolescenza di Simone. “Era fragile, ma nessuno pensava potesse arrivare a questo”, ha confidato un’amica della madre.
Il futuro di Monteverdi e il dibattito aperto
Ora per Simone Monteverdi inizia una lunga fase di osservazione e cura nella Rems genovese. I medici valuteranno di volta in volta le sue condizioni; solo allora si potrà pensare a un possibile reinserimento nella società. La vicenda ha riacceso il dibattito sulla capacità dei servizi di prevenire e aiutare chi sta male.
Intanto, a Chiavari resta il silenzio di un appartamento vuoto e una domanda che pesa: si poteva davvero evitare questa tragedia?