Milano, 9 dicembre 2025 – In Italia il gender pay gap resta una ferita aperta. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Inps, nel 2024 le donne nel settore privato non agricolo hanno guadagnato in media 19.833 euro, mentre gli uomini si sono fermati a 27.967 euro. Una differenza di quasi il 29%, che non dà segnali di miglioramento. Intanto, sullo sfondo, c’è la nuova Direttiva europea 2023/970 che, a partire dal 2026, promette di cambiare le carte in tavola per le aziende italiane, imponendo trasparenza e nuovi obblighi sulle politiche salariali.
La svolta europea: trasparenza obbligatoria sui salari
La nuova direttiva europea vuole mettere fine alle disparità di stipendio con misure concrete: salari chiari, regole trasparenti per promozioni e avanzamenti, e report periodici obbligatori. “La direttiva Ue 2023/970, che i Paesi membri dovranno adottare entro il 7 giugno 2026, imporrà sistemi retributivi trasparenti e senza discriminazioni”, spiega Boris Martella, counsel di Norton Rose Fulbright. L’obiettivo? Garantire la parità salariale tra donne e uomini per lo stesso lavoro o per lavori di pari valore, evitando differenze ingiustificate.
Le aziende dovranno rivedere tutto: dagli annunci di lavoro alla mappatura dei ruoli fino alle regole sugli stipendi. “Non è solo una questione di procedure”, sottolinea Martella, “ma serve una vera rivoluzione culturale, che renda i sistemi chiari e accessibili a tutti”.
Lavoro di pari valore: la sfida da affrontare
Al centro della direttiva c’è il concetto di lavoro di pari valore, che deve diventare misurabile e giuridicamente certo. Giulietta Bergamaschi, managing partner di Lexellent, ricorda come la mancanza di trasparenza e di una definizione precisa blocchi l’applicazione del principio di parità. “I datori di lavoro potranno pagare diversamente solo se ci sono criteri oggettivi, neutrali rispetto al genere”, spiega Bergamaschi. A fare la differenza saranno competenze, impegno, responsabilità e condizioni di lavoro.
In più, la direttiva invita a puntare sulla formazione: chi si occupa di risorse umane dovrà essere preparato a valutare e classificare il personale in modo corretto. Solo così si potrà affrontare la discriminazione salariale alla radice.
Accesso ai dati e obblighi di trasparenza
Un altro punto cruciale riguarda la conoscenza dei salari all’interno delle aziende. Gaspare Roma, partner di De Berti Jacchia, osserva che la direttiva rafforza la tutela contro le discriminazioni introducendo obblighi chiari: i lavoratori devono poter consultare facilmente i dati sugli stipendi e capire come vengono decisi. Le imprese dovranno mappare i livelli salariali, scovare eventuali disparità e garantire trasparenza sia ai dipendenti sia ai sindacati.
Cultura aziendale: la vera sfida
Se la legge si fa più severa, il vero nodo resta il cambiamento culturale. Daniele Arduini, ceo e co-founder di Kampaay, commenta: “I dati Inps raccontano una realtà che ha bisogno di un salto culturale, più che normativo”. In Kampaay, azienda tech nel settore eventi, la parità salariale è una regola d’oro. “Paghiamo in base all’impatto e alla complessità del ruolo, non al genere”, spiega Arduini. Il management è composto in maggioranza da donne, un risultato che è nato naturalmente dalla ricerca del talento.
Il talento femminile ancora nascosto
Laura Basili, co-founder di Women at Business, sottolinea come i dati Inps siano “lo specchio di un Paese che continua a sottovalutare il talento delle donne”. Il fatto che le donne guadagnino quasi il 30% in meno degli uomini dimostra che c’è ancora un enorme potenziale inutilizzato. La direttiva europea è un passo avanti, ma non basta. “La vera sfida è superare i pregiudizi che alimentano il divario”, avverte Basili. Riconoscere il lavoro femminile, sostenere le carriere e promuovere leadership inclusive sono passi fondamentali per far crescere l’Italia e renderla competitiva.
Verso il 2026: tra legge e cambiamento sociale
La strada per chiudere il gender pay gap passa per due strade: la legge e la cultura. La direttiva europea impone alle aziende italiane nuovi doveri: trasparenza sui salari, criteri chiari, accesso ai dati. Ma solo un cambiamento vero nei comportamenti potrà davvero fare la differenza. Un percorso lungo, che richiederà tempo, formazione e una nuova consapevolezza di gruppo.










