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Italia delle filiere: un tesoro da 2.600 miliardi e la chiave della competitività nella conoscenza

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Italia delle filiere: un tesoro da 2.600 miliardi e la chiave della competitività nella conoscenza
Italia delle filiere: un tesoro da 2.600 miliardi e la chiave della competitività nella conoscenza
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Milano, 3 dicembre 2025 – L’Italia delle filiere produttive vale oggi 2.600 miliardi di euro, con quasi 500 miliardi di export e più di 17 milioni di occupati. Sono numeri impressionanti, che raccontano un sistema industriale solido. Ma secondo il nuovo rapporto dell’Osservatorio 4.Manager serve una svolta per restare competitivi. Il documento, presentato questa mattina a Milano e intitolato “Le filiere produttive nell’era della conoscenza aumentata”, mette in chiaro che la vera sfida non è più solo produrre, ma creare, trasferire e proteggere la conoscenza lungo tutta la catena del valore.

Filiere: non solo catene, ma veri ecosistemi di sapere

“Il nostro sistema produttivo ha gli strumenti per guardare avanti: creatività, tecnologia, filiere che producono valore. Ma nella quinta rivoluzione industriale la competitività cresce solo se questi elementi dialogano tra loro”, ha detto Stefano Cuzzilla, presidente di 4.Manager, davanti a una platea di imprenditori e manager nella sede di Assolombarda. Per Cuzzilla, la parola chiave è far circolare conoscenze e competenze: “Quando succede, il sistema non si limita a prendere, ma diventa generativo: entra uno e può uscire mille”. Insomma, l’impresa 5.0 non si limita a fabbricare prodotti, ma trasforma dati e saperi in valore reale.

Il rapporto sottolinea che la cultura di filiera non è roba del passato, ma una strategia per il futuro. Le aziende leader – spesso grandi gruppi come Barilla nell’agroalimentare o Leonardo nell’aerospazio – diventano veri e propri hub strategici: fissano standard, guidano l’innovazione e alzano la qualità di tutta la catena. Non più semplici catene lineari, dunque, ma ecosistemi cognitivi in cui ogni anello porta un pezzo di sapere collettivo.

Filiere ad alta intensità cognitiva: il cuore dell’economia italiana

L’analisi economica è chiara: le filiere ad alta rilevanza sistemica, identificate da Istat – dall’Agroalimentare all’Energia, dalla Farmaceutica all’Abbigliamento, dalla Meccanica all’Ict – producono più del 56% del valore aggiunto nazionale e il 67% dell’export. Nei settori più avanzati, la produttività per addetto è alta: si parla di 269.000 euro nella Chimica, 137.000 nella Metallurgica. Questi comparti sono oggi il motore della crescita italiana.

Ma il rapporto mette anche in evidenza i limiti. La digitalizzazione procede, ma a passo lento: solo l’8,2% delle imprese usa l’intelligenza artificiale nei processi produttivi (contro il 13,5% della media europea) e meno della metà della popolazione ha competenze digitali di base. I servizi pubblici digitali per le aziende sono quasi all’altezza dell’Europa (80,9% contro 86,2%), ma resta ancora molto da fare.

Etica e sicurezza: le nuove sfide dell’AI

Un altro tema caldo riguarda la governance dell’intelligenza artificiale e la cybersicurezza. Quasi un’impresa su quattro segnala che le questioni etiche frenano l’adozione dell’AI: servono regole chiare su protezione dei dati e trasparenza degli algoritmi. Nel rapporto si legge: “Le filiere più digitalizzate hanno bisogno di infrastrutture solide, capaci di difendersi da attacchi che potrebbero bloccare flussi informativi fondamentali”.

Manager del futuro: chi guida il cambiamento

Il nodo delle competenze manageriali è decisivo. Nel 2024 quasi il 10% delle nuove assunzioni dirigenziali riguarda i Supply Chain Manager, figure che uniscono capacità di gestione a competenze in Ict e sostenibilità. Però oltre metà delle aziende fatica a trovarli. Il quadro demografico non aiuta: più del 40% dei dirigenti ha più di 55 anni e solo il 22% è donna.

La fotografia della managerialità conferma che il capitale umano fa la differenza. Le filiere ad alta intensità cognitiva – Chimica (274), Ict (238), Farmaceutica (231) – sono quelle con i valori più alti; settori come Turismo (24), Logistica e Costruzioni (57) restano indietro.

Tre leve per il futuro del Made in Italy

Secondo Cuzzilla, per far crescere il Made in Italy servono tre mosse: infrastrutture della conoscenza (come piattaforme dati condivise e un Osservatorio permanente sulle filiere), spingere la digitalizzazione delle piccole e medie imprese e investire nel capitale manageriale con Academy e programmi di mentorship.

“Parlare oggi di filiere nell’era della Conoscenza Aumentata”, ha detto Giuseppe Torre, responsabile scientifico dell’Osservatorio 4.Manager, “significa capire che questi sistemi non sono più solo luoghi dove si trasformano materie prime, ma veri ecosistemi che trasformano saperi in ‘saper fare’ e prodotti di alto valore”.

Solo così – conclude il rapporto – l’Italia potrà confermare il suo ruolo da protagonista nella nuova economia della conoscenza.

Written by
Mirko Fabrizi

Sono un appassionato narratore di storie di italiani che hanno deciso di intraprendere un viaggio all’estero, sia per lavoro che per dare vita a nuove avventure imprenditoriali. La mia penna si muove tra le esperienze di chi ha lasciato la propria terra d'origine per seguire sogni e aspirazioni, affrontando sfide e scoprendo opportunità in contesti diversi. Credo fermamente nel potere delle storie di ispirare e connettere le persone, e mi piace esplorare come la cultura italiana si intrecci con quella di altri paesi. Con ogni articolo su smetteredilavorare.it, cerco di dare voce a chi ha scelto di cambiare il proprio destino, portando un pezzo d'Italia nel mondo e dimostrando che la passione e la determinazione possono aprire le porte a nuove realtà.

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