Bologna, 7 giugno 2024 – Puntare sulla formazione e sul lavoro per dare una seconda chance ai detenuti. È questa la sfida che il Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro ha deciso di raccogliere, lanciando un progetto di reinserimento sociale attivo in diverse province italiane, tra cui Bologna. L’obiettivo è chiaro: abbattere il muro della recidiva e restituire dignità attraverso un’occupazione stabile.
L’officina meccanica nel carcere della Dozza
Al carcere della Dozza, a pochi passi dal centro di Bologna, da qualche anno c’è un’officina meccanica vera e propria. “Seguiamo da vicino l’impresa sociale ‘Fare Imprese in Dozza’, creata da tre aziende che lavorano con macchine automatiche”, spiega Pier Paolo Redaelli, presidente del Consiglio provinciale dei consulenti del lavoro di Bologna. L’officina nasce grazie all’accordo con l’amministrazione penitenziaria, che ha messo a disposizione la palestra della struttura.
Oggi, tra quelle mura, lavorano 14 detenuti con un contratto a tempo indeterminato. Sono stati selezionati e formati dalla Fondazione Aldini Valeriani, legata all’istituto tecnico bolognese. “La formazione è stata fondamentale – sottolinea Redaelli – perché ha permesso loro di acquisire competenze utili anche fuori dal carcere”.
Meno recidiva, più lavoro: i numeri che parlano
Dal 2012, dicono i dati del Consiglio provinciale, sono stati assunti 77 detenuti in questa officina. La maggior parte ha continuato a lavorare anche dopo la scarcerazione. “Circa l’80% non è più tornato a delinquere – racconta Redaelli – e ha trovato un impiego stabile grazie a questa esperienza”. Un risultato che conferma come il lavoro sia una strada concreta per il reinserimento e per evitare nuovi reati.
Negli ultimi mesi, il progetto ha stretto nuove collaborazioni. Tra queste c’è Granarolo, storica azienda lattiero-casearia di Bologna. “Dentro la Dozza abbiamo installato macchinari per la produzione di prodotti caseari – racconta Redaelli – e presto partirà una nuova linea produttiva”.
Sartoria e inclusione: il laboratorio ‘Siamo Qua’
Non solo uomini. Nel carcere di Bologna c’è anche un laboratorio di sartoria dedicato alle detenute, promosso dall’impresa sociale ‘Siamo Qua’. “Le operaie della cooperativa insegnano il mestiere direttamente in carcere”, spiega Redaelli. Quando le donne ottengono la semilibertà, vengono trasferite nella sede della cooperativa per continuare il lavoro.
Le difficoltà, però, non mancano. “Molte, una volta fuori, perdono lo status di svantaggiate e faticano a inserirsi nel mondo del lavoro”, ammette Redaelli. La situazione è ancora più complicata per le detenute straniere senza permesso di soggiorno: “Per loro il reinserimento è una sfida ancora più grande”.
Verso una riforma per dare opportunità
Per superare questi ostacoli, i consulenti del lavoro stanno lavorando a una proposta di riforma. L’idea è permettere anche a chi esce dal carcere, soprattutto se in condizioni di svantaggio, di accedere a percorsi lavorativi protetti. “Vogliamo restituire dignità e opportunità a chi vuole davvero cambiare vita”, conclude Redaelli.
Il modello bolognese, ormai replicato in altre province, dimostra che investire nella formazione e nel lavoro può fare la differenza. Non solo per chi ha sbagliato, ma per tutta la comunità. E mentre nella Dozza si accendono i macchinari e si cuciono abiti in sartoria, cresce la consapevolezza che il reinserimento passa anche da qui: dal coraggio di offrire una seconda possibilità.
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