La questione dell’occupazione femminile in Italia continua a rimanere un tema centrale nel dibattito pubblico. Recenti ricerche hanno messo in luce come l’inattività rappresenti un ostacolo significativo per l’accesso delle donne al mercato del lavoro. Questo è emerso chiaramente durante la tavola rotonda organizzata dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp), che ha coinciso con la presentazione dell’undicesimo round dell’European Social Survey.
L’influenza dei fattori demografici
Valeria De Bonis, membro dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, ha aperto il dibattito sottolineando come l’evoluzione del mercato del lavoro italiano sia influenzata da fattori demografici e da un cambiamento nella partecipazione lavorativa, in particolare da parte delle donne. Secondo De Bonis, l’Italia sta affrontando un invecchiamento della popolazione e una riduzione della forza lavoro. Sebbene si osservi un aumento generale della popolazione occupata, questo trend è più marcato tra:
- Gli uomini sopra i 50 anni
- Le donne di età compresa tra i 35 e i 49 anni
Particolarmente interessante è stata l’osservazione di De Bonis riguardo al contributo delle donne inattive nel mercato del lavoro post-pandemico. Molte di queste, insieme ai giovani, hanno contribuito a un incremento dell’occupazione, che si è però concentrata principalmente nel settore terziario, caratterizzato da una bassa remunerazione. Questo dato evidenzia un problema strutturale: le donne, pur rappresentando il 53% dei nuovi occupati, si trovano spesso in posizioni lavorative meno retribuite e con minori opportunità di crescita professionale.
Il divario di genere nel mercato del lavoro
A livello europeo, Sara Riso, senior research manager di Eurofound, ha evidenziato i progressi compiuti per ridurre il divario di genere nei tassi di occupazione. Nonostante le donne italiane siano mediamente più istruite rispetto agli uomini, i salari rimangono inferiori, un fenomeno che si riflette in settori tradizionalmente femminili come sanità e istruzione. Questi ambiti, sebbene occupino una parte significativa della forza lavoro, presentano carichi di lavoro e responsabilità emotive elevati, mentre gli uomini tendono a occupare ruoli manageriali con condizioni di lavoro più vantaggiose. I divari di genere, quindi, non si limitano ai salari, ma si estendono anche alla gestione del tempo nelle attività familiari, riducendo così le opportunità di formazione e sviluppo professionale per le donne.
L’importanza dell’attivazione delle donne
Mattia Pirulli, segretario confederale della Cisl, ha sottolineato l’importanza dell’attivazione delle donne nel mercato del lavoro, un fattore cruciale per stimolare la crescita economica. Secondo Pirulli, la partecipazione femminile è stata storicamente vista come marginale, ma ora è evidente che il loro contributo può avere un impatto significativo sul PIL. Ha inoltre evidenziato la necessità di affrontare la questione dell’autosegregazione nelle materie STEM, dove attualmente solo il 20% dei partecipanti sono donne. Questo è un problema che deve essere affrontato attraverso un orientamento adeguato e l’incoraggiamento delle donne a intraprendere carriere in questi settori.
Uno dei dati più preoccupanti emersi dall’analisi di Pirulli riguarda la fascia di età 25-34 anni, dove il 41% delle donne è coinvolto in forme di lavoro part-time involontario. Questo evidenzia la necessità di un ripensamento dei ruoli di genere all’interno della famiglia, affinché ci sia una ripartizione più equa delle responsabilità domestiche tra uomini e donne. È essenziale, quindi, investire in servizi di supporto come asili nido e politiche di welfare per la cura a lungo termine, specialmente considerando l’invecchiamento della popolazione.
Durante la discussione, Eleonora Faina, vicedirettore generale dell’Unione Industriali di Torino, ha riconosciuto la presenza di disparità nel mercato del lavoro e le sfide associate ai carichi di cura. Tuttavia, ha anche sottolineato la necessità di azioni concrete. Le iniziative di sostegno alle donne variano notevolmente in base alla dimensione delle imprese, e non sempre le leggi possono risolvere le problematiche senza costi per le aziende. Faina ha proposto di investire nella formazione scientifica delle ragazze, per prepararli a un ruolo attivo nella transizione digitale, un settore in continua espansione e che offre molteplici opportunità.
Queste riflessioni pongono l’accento su un problema complesso e multifattoriale, che richiede un approccio integrato e coordinato da parte di istituzioni, aziende e società civile. L’inattività femminile non è solo una questione individuale, ma un tema che tocca profondamente l’economia e il benessere sociale del paese. Le politiche che si andranno a implementare nei prossimi anni saranno decisive per garantire un futuro più equo e inclusivo nel mercato del lavoro.