La penuria di lavoratori specializzati in Italia sta diventando un problema sempre più pressante, come dimostrano i recenti dati forniti da Unioncamere e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel 2024, il 47,8% delle aziende ha segnalato difficoltà nel reperire personale, un aumento del 2,7% rispetto all’anno precedente. Tra le regioni più colpite si trovano il Veneto, l’Umbria e il Friuli-Venezia Giulia, dove la carenza di lavoratori specializzati raggiunge quasi il 65%. Anche il Trentino-Alto Adige, il Piemonte-Valle d’Aosta, la Toscana e l’Emilia-Romagna si attestano su percentuali elevate, mentre la Lombardia si ferma al 61,2%.
Questa situazione è il risultato di diversi fattori, tra cui il mismatch tra il sistema educativo e le esigenze del mercato del lavoro, la denatalità e l’invecchiamento della popolazione. Un aspetto preoccupante è rappresentato dal paradosso dei giovani inattivi: un quarto dei ragazzi tra i 25 e i 34 anni non è attivamente coinvolto nel mercato del lavoro, evidenziando un gap che deve essere affrontato.
La voce di Paola Veglio
A parlare di questa difficile realtà è Paola Veglio, amministratore delegato di Brovind, un’azienda piemontese specializzata nell’automazione industriale. Paola ha costantemente denunciato la difficoltà di trovare giovani lavoratori, un problema che si aggrava ulteriormente a causa della posizione geografica della sua azienda, situata nel piccolo borgo di Cortemilia, nell’Alta Langa. Questo contesto è lontano dai servizi e dalle attrattive delle grandi città, rendendo ancora più complessa la ricerca di personale qualificato.
“Impazzire per trovare lavoratori qualificati – spiega Veglio – è un lusso che il nostro Paese non può permettersi. È fondamentale che ci sia una maggiore connessione tra le scuole e il tessuto imprenditoriale, affinché i giovani possano comprendere cosa significhi realmente lavorare in un’azienda. I percorsi di stage o l’alternanza scuola-lavoro sono utili, ma non bastano; è necessario un maggiore coinvolgimento dei ragazzi nei luoghi di lavoro, per aiutarli a chiarire le loro idee professionali prima di diplomarsi”.
Iniziative per attrarre talenti
Veglio ha avviato un dialogo costruttivo con le scuole tecniche della zona, cercando di colmare il divario tra formazione e occupazione. “Spero che anche altre aziende seguano questo esempio”, aggiunge, sottolineando quanto sia cruciale affrontare la questione a livello collettivo.
Brovind affronta un duplice problema: da un lato, la difficoltà nel trovare personale qualificato; dall’altro, l’assenza di interesse da parte dei giovani a lavorare in un piccolo borgo. Per cercare di attrarre talenti, Veglio ha cercato di integrare le esigenze del welfare aziendale con quelle del welfare territoriale. Ad esempio, l’azienda ha:
- Ristrutturato e riaperto un ristorante pizzeria chiuso da anni, che ora può ospitare 60 dipendenti durante la pausa pranzo e accogliere anche i cittadini e i turisti del borgo.
- Collaborato con il comune, che ha recentemente aperto un asilo nido, con Brovind che contribuisce a coprire le spese per i figli dei propri dipendenti.
“Il mondo del lavoro è cambiato radicalmente – continua Veglio – oggi sono le persone a scegliere l’azienda in cui lavorare. I giovani hanno un modo di pensare diverso rispetto alle generazioni precedenti, e finché non troveremo un modo per entrare in sintonia con loro, sarà difficile coinvolgerli”.
Riflessioni sul futuro del lavoro
Una strategia suggerita dall’imprenditrice è quella di ripensare la narrazione del lavoro in fabbrica, oggi sempre più tecnologicamente avanzato, per riqualificare l’immagine dell’operaio e renderla più attraente per le nuove generazioni. Veglio evidenzia anche la necessità di maggiori incentivi per le aziende che assumono giovani e propone di reintrodurre la possibilità per i minorenni di partecipare a stage estivi. “Oggi i ragazzi hanno a disposizione solo l’esperienza di alternanza scuola-lavoro – afferma – e spesso si trovano a 18 anni senza avere la minima idea di come funziona il mondo lavorativo”.
Questo paradosso, che vede da un lato un’Italia in cerca di lavoratori e dall’altro giovani ai margini, dovrebbe spingere a riflettere. “Forse non sono i giovani a essere lontani dal lavoro, ma il lavoro stesso a non parlare più la loro lingua”.
La necessità di un ripensamento radicale del lavoro è evidente, soprattutto in contesti storici e culturali come quelli dei piccoli borghi italiani, come Cortemilia. Qui, per garantire una continua vitalità della comunità, è essenziale rendere il lavoro più accessibile, umano e in linea con le aspirazioni delle nuove generazioni. La sfida che si presenta è quella di trovare un equilibrio tra le esigenze delle aziende e le aspettative dei giovani, per costruire un futuro in cui entrambi possano prosperare.