
La tutela dei diritti dei bambini che vivono con madri detenute rappresenta una sfida che coinvolge istituzioni e società civile. In Italia, Unicef ha espresso dubbi sull’efficacia delle misure attuali, soprattutto dopo le osservazioni contenute nella relazione della corte suprema di cassazione legate al decreto sicurezza 2025. Le condizioni di vita di questi bambini richiedono soluzioni che rispettino la convenzione onu sui diritti dell’infanzia, evitando che crescano nelle carceri con tutte le conseguenze psicologiche e sociali che ne derivano. Il confronto si concentra su alternative alla detenzione e sull’impegno necessario per garantire il benessere dei minori.
Il quadro normativo e le criticità delle detenzioni coatte per madri e figli
La convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, ratificata dall’Italia nel 1991, stabilisce principi chiari per la protezione dei bambini. Tra questi, il superiore interesse del minore e la tutela della sua integrità psicofisica. Questi principi entrano in conflitto con alcune pratiche detentive che, di fatto, costringono i bambini a vivere all’interno delle carceri insieme alle madri. La relazione della corte suprema di cassazione, pubblicata di recente, evidenzia come i cambiamenti introdotti dal decreto sicurezza 2025 non abbiano migliorato significativamente la condizione dei minori coinvolti. Il rischio è che queste giovani vite restino intrappolate in contesti inadatti, senza che si trovi una soluzione efficace che rispetti il loro sviluppo.
Il punto di vista di nicola graziano
Nicola Graziano, presidente di Unicef italia, sottolinea che “la tutela effettiva dei diritti di questi bambini deve andare oltre logiche cautelari e generalizzazioni.” Serve maggiore attenzione alle esigenze educative e genitoriali, che dovrebbero prevalere sulle misure di sicurezza carceraria. Ogni decisione dovrebbe mirare a salvaguardare l’equilibrio psicologico e la crescita dei minori senza discriminazioni di sorta. Questo approccio rappresenta un importante monito per le istituzioni chiamate a intervenire.
L’esperienza degli icam e i limiti delle strutture di custodia attenuata
Gli istituti a custodia attenuata per detenute madri sono stati ideati come una risposta meno rigida rispetto al carcere ordinario, tentando di garantire ambienti più adatti alla presenza dei bambini. Tuttavia, osservandoli dal punto di vista dei minori, questi luoghi non riescono a offrire le condizioni necessarie per un sano sviluppo. L’ambiente carcerario, pure se mitigato, resta un contesto difficile per un bambino, con rischi evidenti di compromissione emotiva e sociale.
Unicef ha intensificato in questi ultimi anni il dialogo con le istituzioni per evitare che i bambini finiscano in carcere con le madri, mettendo così in discussione anche l’efficacia degli icam. Questi non rappresentano una vera alternativa alla detenzione, tanto che continuano a spingere l’attenzione verso modelli diversi in cui la funzione genitoriale e la crescita del minore vengano rispettate. Il punto è che gli icam conservano molte delle caratteristiche di un ambiente restrittivo e non favoriscono un percorso di reinserimento.
Case-famiglia protette come alternativa concreta alla detenzione dei bambini
Tra le soluzioni indicate da Unicef Italia, ci sono le case-famiglia protette. Queste strutture rappresentano un’opportunità per restituire ai minori un ambiente di vita più adeguato, in cui la funzione genitoriale è valorizzata e sostenuta senza imporre la convivenza in carcere. Nelle case-famiglia protette, i bambini non sono trattati come detenuti ma protetti. Inoltre, queste case promuovono il recupero dell’autonomia delle madri e l’educazione alla legalità , accompagnando tutta la famiglia in un percorso che aiuta a reinserirsi nella società .
Ad oggi in Italia esistono solo due strutture attive, una a Roma e una a Milano. Questi esempi sono frutto di collaborazioni tra enti pubblici, associazioni e soggetti privati sensibili alla causa. La loro diffusione è limitata, sia per carenza di risorse pubbliche sia per l’assenza di investimenti mirati da parte delle istituzioni. Senza un sostegno economico adeguato, le case-famiglia restano esperienze isolate, incapaci di soddisfare il bisogno diffuso.
La necessità di risorse per ampliare le case-famiglia protette
Il funzionamento delle case-famiglia protette soffre di un ostacolo fondamentale: la mancanza di finanziamenti pubblici sufficienti. Questo limite rallenta lo sviluppo di nuove strutture capaci di ospitare e accompagnare madri e figli a rischio. Nicola Graziano ha evidenziato che “la prossima legge di bilancio dovrebbe prevedere fondi dedicati per permettere agli enti locali di creare e gestire questi servizi.” Dal punto di vista della sicurezza sociale, assicurare un ambiente protetto ai bambini significa investire nel loro benessere e nella prevenzione di fenomeni di marginalizzazione.
Le esperienze portate avanti a Roma e Milano mostrano come, se il coordinamento tra istituzioni e associazioni funziona, è possibile costruire modelli che tutelano concretamente i diritti di madri e minori. Ampliare queste iniziative permetterebbe a un numero maggiore di bambini di sfuggire alle conseguenze negative del carcere e avrebbe un impatto positivo sulle loro prospettive future. L’attenzione alle loro esigenze primarie deve prevalere su una logica esclusivamente repressiva.
A quel punto, i piccoli potrebbero concentrarsi su parole come “mamma” e “papà ” senza dover imparare la realtà dura di un contesto carcerario. Il tema rimane aperto e rappresenta una sfida per tutti i soggetti coinvolti nella tutela dei diritti dell’infanzia in Italia.