Milano, 16 dicembre 2025 – Il prezzo del petrolio ha aperto in calo questa mattina sui principali mercati delle materie prime, segnando un nuovo momento di incertezza per il settore energetico. Alle 9.30, il WTI con consegna a gennaio si è attestato a 56,45 dollari al barile, in flessione dello 0,62% rispetto alla chiusura di ieri. Anche il Brent con consegna a febbraio ha ceduto terreno, scendendo a 60,21 dollari al barile, con un calo dello 0,58%. Dietro questo movimento, dicono gli operatori, ci sono le tensioni internazionali e l’attesa per le prossime mosse dell’OPEC+.
Petrolio in calo: cosa sta succedendo davvero
Il ribasso di oggi arriva dopo una settimana piena di segnali contrastanti. Da una parte, le scorte di greggio negli Stati Uniti sono salite leggermente, secondo i dati pubblicati ieri dall’Energy Information Administration. Questo ha fatto crescere i timori di un eccesso di offerta. Dall’altra, resta il dubbio sulla domanda globale: “Il mercato aspetta di capire se la crescita economica mondiale rallenterà nei primi mesi del 2026”, ha spiegato a Reuters Mark Evans, analista di Energy Markets.
In questo quadro, il prezzo del Brent resta sopra la soglia psicologica dei 60 dollari, ma la pressione al ribasso non sembra voler mollare nel breve periodo. “Gli investitori sono prudenti – ha aggiunto Evans – perché la situazione geopolitica è ancora molto incerta e l’OPEC+ potrebbe decidere di tagliare la produzione”.
Effetti sui mercati e sull’economia reale
Il prezzo del petrolio pesa direttamente sui mercati azionari e sulle valute dei Paesi esportatori. A Piazza Affari, il settore energetico ha aperto in lieve calo: Eni ha perso lo 0,4% nei primi scambi, Saipem lo 0,6%. “Il settore risente della volatilità dei prezzi internazionali”, ha commentato un trader milanese, che ha preferito restare anonimo.
A livello internazionale, il calo del petrolio dà un po’ di respiro alle economie importatrici. In Italia, secondo l’Unione Petrolifera, ogni punto di percentuale in meno sul prezzo del greggio si traduce in un risparmio di circa 100 milioni di euro all’anno sulla bolletta energetica nazionale. Ma attenzione: “Ci vorranno alcune settimane prima che i ribassi si riflettano effettivamente ai distributori”, ha spiegato Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia.
Che cosa aspettarsi nei prossimi mesi
Ora tutti guardano all’appuntamento dell’OPEC+ a Vienna, il 20 gennaio. Il gruppo dovrà decidere se modificare le quote di produzione. Fonti vicine al cartello non escludono nuovi tagli per sostenere i prezzi. “La decisione dipenderà dall’andamento della domanda in Asia e dalle tensioni in Medio Oriente”, ha confidato un diplomatico saudita.
Non solo. Gli analisti seguono anche le mosse degli Stati Uniti. L’amministrazione Biden ha confermato che manterrà stabili le esportazioni di shale oil, ma resta l’incertezza legata alle elezioni presidenziali di novembre. “Ogni cambiamento alla Casa Bianca potrebbe avere effetti immediati sul mercato”, ha sottolineato Sarah Johnson, economista di JP Morgan.
Volatilità e prudenza: il mercato resta in bilico
Nel breve periodo la volatilità non darà tregua. Gli investitori sono cauti: “Il mercato è molto sensibile alle notizie geopolitiche e ai dati economici”, ha ammesso un operatore della City di Londra. Solo se la domanda riprenderà o se l’OPEC+ deciderà tagli più netti, i prezzi potranno tornare a salire.
Per ora, la parola d’ordine è prudenza. Le prossime settimane saranno decisive per capire se il petrolio troverà una nuova stabilità o se ci aspettano altre oscillazioni. Intanto, tutti gli occhi restano puntati su Vienna e sulle mosse dei grandi produttori mondiali.










