Roma, 14 dicembre 2025 – Russell Crowe torna a calarsi nei panni di Hermann Göring con “Norimberga”, il nuovo film di James Vanderbilt che arriverà nelle sale il 18 dicembre, distribuito da Eagle Pictures. Già presentato come film di chiusura al 38° Torino Film Festival, il film riaccende il dibattito su come il cinema racconti i gerarchi nazisti e sul fascino ambiguo che spesso li circonda sul grande schermo.
Norimberga, un processo sotto la lente del cinema
Al centro di “Norimberga” c’è il celebre processo del 1945, quando le potenze alleate misero sul banco degli imputati i principali responsabili del regime hitleriano. Il film si ispira al libro “Il Nazista e lo Psichiatra” di Jack El-Hai e segue la storia dello psichiatra americano Douglas Kelley (interpretato da Rami Malek), incaricato di valutare la salute mentale degli accusati. Kelley si trova faccia a faccia con uomini che hanno segnato la storia del Novecento, in particolare con Göring, figura chiave del Terzo Reich.
La narrazione punta tutto sul rapporto tra Kelley e Göring, un confronto che si fa sempre più teso. Da un lato c’è il giovane medico militare, razionale e preciso; dall’altro un uomo che, nonostante i terribili crimini di cui è accusato, continua a esercitare un fascino inquietante su chi gli sta intorno. Come ha scritto RogerEbert.com, “mettere parole di buon senso in bocca al diavolo è un’operazione rischiosa”, e il film mostra bene quanto i dittatori sappiano ammaliare persino chi dovrebbe smascherarli.
Russell Crowe e l’ombra carismatica di Göring
La prova di Russell Crowe ha convinto la critica internazionale. Variety ha parlato di una presenza “magnetica”, capace di mostrare la complessità e la pericolosità del personaggio. Ma proprio questa scelta ha sollevato qualche domanda: fino a che punto è giusto rendere “affascinante” un uomo responsabile di orrori? Per alcuni, il rischio è quello di sminuire la vera brutalità dei crimini.
Nel film, Göring non è mai una macchietta. Le sue parole, tratte dagli atti veri del processo, restituiscono il gelo di una logica distorta. “Naturalmente la gente non vuole la guerra. Ma è compito dei leader convincerla che la guerra è inevitabile. Funziona in ogni Paese”, dice in una delle sue frasi più famose. E ancora: “Non mi considero un criminale. Ho servito la Germania. Se questo è un crimine, allora tutti i grandi statisti della storia sono criminali”.
Tra rigore storico e tensione narrativa
“Norimberga” cammina su un terreno delicato: raccontare uno dei momenti più bui della storia senza cedere né al sensazionalismo né alla retorica. Vanderbilt sceglie un tono sobrio, quasi freddo, che però per qualcuno – tra cui Variety – rischia di rendere il film “fragile sul piano storico”. La ricostruzione degli ambienti è precisa: le aule del tribunale, i corridoi sorvegliati dagli alleati, le celle dove gli imputati aspettano il verdetto. Dettagli che fanno sentire l’atmosfera tesa di quei giorni.
A guidare l’accusa c’è il procuratore capo Robert H. Jackson (Michael Shannon), deciso a fissare un precedente giuridico che condanni per sempre i crimini nazisti. Le scene tra Jackson e Göring sono tra le più intense: sguardi fissi, pause pesanti, parole scandite con cura. Solo allora si capisce quanto sia difficile portare davanti alla giustizia uomini abituati a manipolare la realtà.
Il fascino inquietante del male sul grande schermo
Non è la prima volta che il cinema si interroga sul fascino ambiguo dei gerarchi nazisti. Basti pensare a Christoph Waltz nei panni di Hans Landa in “Inglourious Basterds” o al complesso rapporto tra Charlotte Rampling e Dirk Bogarde ne “Il portiere di notte” di Liliana Cavani. In “Norimberga”, però, questa ambiguità si fa più sottile: Göring è carismatico proprio perché inserito in un contesto senza toni da grande villain.
Il pubblico italiano potrà farsi un’idea dal 18 dicembre, quando il film uscirà nelle sale. Sarà interessante vedere se questa scelta narrativa riesce davvero a raccontare la complessità del processo senza cadere nell’errore di “abbellire” il male. Intanto, le parole di Göring in aula restano un monito: “Le decisioni erano prese nell’interesse del Reich, e per questo non ho rimorsi”. Un confronto che, a ottant’anni di distanza, è ancora aperto.









