Roma, 7 dicembre 2025 – Le riserve d’oro della Banca d’Italia, custodite tra i forzieri di Via Nazionale e i caveau sparsi all’estero, tornano a far discutere. Al centro del dibattito politico c’è l’emendamento alla manovra proposto da Fratelli d’Italia, che riapre la partita sulla proprietà e sulla gestione dell’oro nazionale. La questione ha spinto la Banca Centrale Europea a intervenire con un parere ufficiale, diffuso il 3 dicembre, nel quale si chiede chiarezza sulle reali intenzioni della proposta.
L’oro di Bankitalia: quanto vale e dove si trova
I numeri sono impressionanti. La Banca d’Italia detiene 2.452 tonnellate d’oro, che valgono oggi circa 274 miliardi di euro. Una cifra che è cresciuta con l’aumento del prezzo dell’oro negli ultimi anni. La maggior parte delle riserve è costituita da 95.493 lingotti, mentre una parte più piccola è rappresentata da monete. L’oro non è tutto in Italia: solo il 44% resta nei forzieri di Via Nazionale. Il resto è distribuito tra Stati Uniti (43%), Regno Unito (5,76%) e Svizzera (6,09%). Una scelta fatta per motivi di sicurezza e per poter intervenire rapidamente se serve. “Così si risparmiano tempi e costi di trasporto”, spiega una fonte interna alla banca.
La Banca d’Italia è il quarto paese al mondo per quantità d’oro, dopo la Federal Reserve degli Stati Uniti, la Bundesbank tedesca e il Fondo Monetario Internazionale. Sul sito ufficiale si legge chiaramente che “l’oro è proprietà della Banca” ed è una parte essenziale delle sue riserve, come previsto dal Trattato europeo e dallo Statuto del Sistema europeo di banche centrali (Sebc) e della Bce.
Le regole europee e l’autonomia della Banca d’Italia
Non è la prima volta che si parla della proprietà dell’oro. Nel 2019 l’allora governatore Ignazio Visco aveva già fatto chiarezza: “Nessuno dei soci della Banca d’Italia – banche, assicurazioni, casse di previdenza – ha diritti sulle riserve auree o valutarie dell’istituto”. Le norme europee considerano l’oro tra le “attività di riserva in valuta” e regolano anche il trasferimento di parte di queste riserve dalle banche centrali nazionali alla Bce.
Una parte dell’oro deve restare a disposizione della Bce per eventuali richieste, i cosiddetti “further calls” previsti dallo Statuto Sebc (articolo 30). Negli anni Novanta, con la nascita dell’Unione economica e monetaria, Bankitalia ha trasferito a Francoforte una parte delle sue riserve.
Il no della Bce all’emendamento di Fratelli d’Italia
La proposta di Fratelli d’Italia ha subito suscitato la reazione della Banca Centrale Europea. Il 2 dicembre, la Bce ha mandato un parere al Ministero dell’Economia in cui si legge: “Non è chiaro quali siano gli obiettivi concreti della proposta. Per questo, in assenza di spiegazioni, le autorità italiane sono invitate a rivedere la proposta”. La Bce sottolinea l’importanza di mantenere l’indipendenza della Banca d’Italia nel suo ruolo previsto dal Sebc.
Fonti parlamentari raccontano che il dibattito è tutt’altro che chiuso. “Serve trasparenza su un tema così delicato”, ha detto un deputato della maggioranza. Dall’opposizione invece arriva l’appello a non usare “strumentalizzazioni politiche su asset strategici”.
Oro, storia e retroscena
L’oro italiano ha una storia che si intreccia con i momenti più difficili del Paese. Dopo la Seconda Guerra mondiale, raccontano gli archivi di Bankitalia, c’è stato un lungo lavoro per recuperare le riserve sottratte dai nazisti nel 1943: alla fine, solo due terzi tornarono in Italia. Nel 1976 una parte dell’oro fu data in garanzia alla Bundesbank per un prestito. Nel 2009, invece, la Bce si oppose con decisione a un tentativo italiano di tassare le plusvalenze sulle riserve auree.
Oggi come allora, l’oro resta un tema delicato. L’autonomia della Banca d’Italia, istituto di diritto pubblico che agisce nell’interesse del Paese, è tutelata da norme europee e nazionali. Ma ogni proposta che metta mano a questo patrimonio scatena subito confronto tra istituzioni, politica ed Europa. E per ora il dibattito non accenna a fermarsi.








