Bari, 4 dicembre 2025 – Una donna di 30 anni, di origine egiziana, è stata condannata a 7 anni di carcere dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Vittorio Rinaldi. Il reato: maltrattamenti aggravati ai danni del marito, un uomo di 34 anni residente nel Barese, che si è tolto la vita il 10 aprile 2024. La sentenza, arrivata al termine di un processo con rito abbreviato, ha escluso l’aggravante legata al suicidio ma ha sottolineato la presenza di minori durante gli episodi di violenza. Oltre alla pena detentiva, la donna dovrà risarcire i genitori della vittima e la figlia minorenne.
Una condanna severa, ma non definitiva
Il giudice Rinaldi ha accolto in parte la richiesta della procura, che puntava a una pena di 4 anni, ma ha dato peso alla gravità dei fatti, soprattutto per la presenza della figlia della coppia. La donna dovrà pagare 30mila euro ciascuno ai genitori del marito e 40mila euro alla figlia. La difesa, guidata dall’avvocato Lorenzo Vendola, ha già annunciato il ricorso in appello. “Non condividiamo la ricostruzione dei fatti – ha detto il legale – e crediamo ci siano aspetti da approfondire nel secondo grado”.
Dall’Egitto alla provincia barese: la storia di una coppia
Le indagini della procura di Bari hanno ricostruito una relazione iniziata nel 2018 a Sharm el Sheikh, in Egitto. I due si erano sposati l’anno dopo al Cairo, poi si erano trasferiti in un paese della provincia di Bari. Nel 2021 era nata la loro figlia. Proprio dopo la nascita, secondo l’accusa, sarebbero cominciati i maltrattamenti: richieste continue di soldi, pressioni per comprare una casa più grande e trasferirsi a Bari, minacce di portare via la bambina in Egitto e impedirne l’incontro con il padre.
Minacce e un clima di paura
Nel capo d’imputazione si legge che la donna avrebbe ripetutamente minacciato il marito di “scappare con la bambina” e di non farlo più vedere. Messaggi offensivi, assenze prolungate – spesso all’estero – e continue richieste di denaro hanno creato un ambiente familiare teso e difficile. Gli inquirenti hanno ricostruito uno stato di “profonda prostrazione psichica” per l’uomo, che viveva con il terrore di perdere il legame con la figlia.
Il suicidio e le indagini
Il 10 aprile 2024, l’uomo si è tolto la vita nella sua casa. Gli investigatori hanno escluso responsabilità dirette della donna nella morte, ma hanno confermato la presenza di maltrattamenti. “Non c’è un nesso diretto tra gli abusi contestati e il gesto estremo – ha spiegato una fonte giudiziaria – ma il clima in famiglia era segnato da continue tensioni”. Per questo la procura aveva chiesto una pena più lieve, vista l’assenza dell’aggravante legata al suicidio.
Reazioni forti e contrapposte
I genitori della vittima, parte civile con l’avvocato Giuseppe Lorusso, hanno accolto la sentenza con commozione. “Non ci ridà nostro figlio – ha detto il padre uscendo dal tribunale – ma almeno è stato riconosciuto ciò che ha subito”. La difesa insiste sulla volontà di chiarire alcuni punti: “Ci sono elementi da verificare – ha ribadito l’avvocato Vendola – e li approfondiremo in appello”.
Un caso che fa riflettere
La vicenda ha acceso nuovamente i riflettori sui maltrattamenti in famiglia e sulle situazioni che possono portare a gesti estremi, anche tra uomini, spesso meno raccontati rispetto alle donne. Secondo i dati ISTAT, nel 2023 oltre 2.000 uomini hanno denunciato episodi di violenza domestica in Italia. Il processo d’appello potrebbe portare novità. Per ora resta una sentenza che racconta una storia difficile, fatta di rapporti spezzati e di una tragedia che ha lasciato ferite profonde in entrambe le famiglie.









