Taranto, 2 dicembre 2025 – La Corte d’Appello di Lecce ha confermato ieri la condanna civile nei confronti di Fabio Arturo Riva, erede della famiglia che ha guidato l’ex Ilva, e dell’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso. I due dovranno pagare, in solido, circa 21 milioni di euro al Comune di Taranto, oltre ai risarcimenti per le aziende partecipate Amat-Kyma Mobilità e Amiu-Kyma Ambiente. Una sentenza che arriva dopo anni di battaglie legali e che, secondo i giudici, riconosce la gravità delle conseguenze ambientali e sociali subite dalla città.
Risarcimenti quasi raddoppiati rispetto al primo grado
La Corte, presieduta da Anna Maria Marra con estensore Claudia Calabrese, ha accolto in gran parte le richieste del Comune e delle sue partecipate, rappresentate dall’avvocato Massimo Moretti. Rispetto alla sentenza di primo grado del luglio 2022 – quando il giudice civile Raffaele Viglione aveva fissato un indennizzo di 12 milioni di euro – la cifra è quasi raddoppiata. Il Comune aveva infatti contestato la valutazione del danno.
Nel dettaglio, Riva e Capogrosso dovranno versare 18 milioni di euro per il risarcimento del danno non patrimoniale legato all’immagine, alla reputazione e all’identità storica e culturale di Taranto. A questa somma si aggiungono circa 2,5 milioni di euro più Iva per i danni al patrimonio immobiliare comunale nei quartieri Città Vecchia e Paolo VI, oltre a 500mila euro per danni alle strutture scolastiche e 23mila euro per le spese di manutenzione del Plesso Gabelli.
Il peso del danno sulla città
Nelle motivazioni depositate, la Corte d’Appello ha sottolineato come l’attività dell’ex stabilimento siderurgico abbia causato “un pregiudizio concreto e misurabile” non solo all’ambiente, ma anche all’immagine della città. “Il danno – si legge negli atti – ha portato a una perdita di reputazione e a un colpo all’identità storica e culturale di Taranto”. Un passaggio che fotografa il profondo impatto della vicenda Ilva sulla comunità.
La sentenza ricorda anche le transazioni già siglate dalle condebitrici Ilva spa e Partecipazioni Industriali spa, a testimonianza della complessità del caso. “Abbiamo ottenuto un risultato importante – ha detto l’avvocato Moretti – ma resta il rammarico per i danni subiti dalla città in tutti questi anni”.
Indennizzi anche per le aziende partecipate
Non solo il Comune, ma anche le società partecipate riceveranno un risarcimento. Alla società di trasporti Amat-Kyma Mobilità andranno oltre 162mila euro, a copertura dei “maggiori oneri e delle sostituzioni dei materiali d’uso” dovuti all’inquinamento. Per l’igiene urbana, Amiu-Kyma Ambiente incasserà circa 116mila euro per i “costi extra sostenuti nelle attività di spazzamento e lavaggio delle strade”, oltre alle spese per fornire ai dipendenti tute integrali.
Secondo la sentenza, queste cifre riflettono “l’impatto diretto e quotidiano” dell’inquinamento sulle funzioni essenziali della città. “Abbiamo dovuto riorganizzare i servizi – ha spiegato un dirigente Amiu – con costi che pesano sulle casse pubbliche”.
Un passo importante, ma la partita è aperta
Questa sentenza della Corte d’Appello segna una tappa fondamentale nel lungo scontro giudiziario tra il Comune di Taranto e i vertici dell’ex Ilva. Non è escluso che i condannati possano presentare ricorso in Cassazione. Nel frattempo, a Palazzo di Città si respira una prudente soddisfazione. “È un segnale importante per la comunità – ha detto un assessore – ma la strada per il risanamento ambientale è ancora lunga”.
Per le strade vicino allo stabilimento, tra le 9 e le 10 del mattino, qualche residente si è fermato a commentare la notizia: “Speriamo che questi soldi servano davvero a migliorare la nostra vita”, ha raccontato una donna che vive in via Orsini da vent’anni. Sullo sfondo resta il nodo della bonifica, tema che continua a far discutere politici e cittadini. Eppure, dopo anni di attesa, Taranto vede finalmente riconosciuto almeno in parte il peso dei danni subiti.