Milano, 26 novembre 2025 – Cecilia Parodi, scrittrice e attivista, è stata condannata a un anno e sei mesi di carcere dal giudice per le indagini preliminari di Milano. Il motivo? Aver rivolto insulti antisemiti a Liliana Segre, senatrice a vita e sopravvissuta alla Shoah. La sentenza, arrivata nelle ultime ore, fa seguito a un video pubblicato su Instagram nel luglio 2024, in cui Parodi pronunciava parole cariche d’odio contro la comunità ebraica e, in particolare, contro la figura di Segre. Il giudice ha evidenziato la gravità delle frasi e il contesto in cui sono state diffuse.
Odio e colpo basso: perché la condanna è più severa
Il tribunale ha sottolineato che le parole di odio e disprezzo usate da Parodi sono state “ancor più gravi” proprio perché rivolte a una persona “la cui stessa vita è stata messa in pericolo a causa della sua appartenenza a una comunità religiosa”. Un chiaro riferimento alla storia di Liliana Segre, sopravvissuta ai campi nazisti e oggi una voce chiave nella memoria dell’Olocausto. Nel dispositivo si legge che il comportamento dell’imputata “è del tutto fuori misura rispetto alla situazione”, con un “chiaro intento di offendere e umiliare con espressioni denigratorie”.
Le motivazioni sono nette: le parole di Parodi “escono dal semplice diritto di critica, superano ogni limite accettabile”. Il tribunale ha anche riconosciuto che l’attacco era mosso da “odio etnico e religioso”, aggravando la posizione dell’imputata.
Il video su Instagram che ha scatenato la bufera
Tutto è cominciato nel luglio 2024, con un video postato da Parodi su Instagram. Girato in casa, con tono acceso e tra le lacrime, in cui gridava: “Odio tutti gli ebrei”, accompagnando le parole con insulti contro la senatrice Segre. Il filmato ha fatto rapidamente il giro dei social, scatenando un’ondata di reazioni indignate da parte di politici, associazioni e cittadini comuni. Segre stessa ha sporto denuncia poche ore dopo la diffusione.
Il giudice ha evidenziato come la “diffusione sui social” di messaggi d’odio possa “scatenare una valanga di reazioni e commenti, spesso nascosti dietro uno schermo”, negando la tragedia dell’Olocausto e alimentando “odio e discriminazione verso gli ebrei”. Secondo il tribunale, questo rende ancora più grave l’uso pubblico di piattaforme per diffondere certi messaggi.
Le parole di Parodi davanti al giudice
Durante l’interrogatorio, Parodi ha cercato di giustificarsi. Ha detto di essere “molto sensibile alla causa palestinese”, raccontando di aver aiutato bambini vittime della guerra nei territori colpiti dal conflitto. Ha negato di voler “offendere o incitare all’odio contro Segre o contro gli ebrei”, spiegando che il suo sfogo nasceva dal disaccordo con alcune dichiarazioni della senatrice sulle operazioni militari a Gaza.
Secondo Parodi, Segre avrebbe sminuito la gravità delle azioni israeliane, evitando di definirle genocidio. Ma il giudice non ha dato peso a queste giustificazioni. Nel dispositivo si legge che “il comportamento dell’imputata è sproporzionato e va oltre ogni limite di critica lecita”.
La figura simbolo di Liliana Segre
La sentenza ricorda il ruolo pubblico di Segre: “Una delle ultime sopravvissute allo sterminio degli ebrei”, una figura che rappresenta un punto di riferimento nella memoria dell’Olocausto. La nomina a senatrice a vita, conferita dal Presidente della Repubblica, è citata come riconoscimento del suo impegno civile.
Il giudice ha sottolineato come gli attacchi a figure simboliche come Segre non colpiscano solo la persona, ma alimentino sentimenti discriminatori nella società. La sentenza, depositata ieri mattina a Milano, è stata definita una risposta necessaria contro ogni forma di odio etnico e religioso, soprattutto quando si diffonde attraverso i nuovi mezzi di comunicazione.
Le reazioni dopo la condanna
Dopo la notizia della sentenza, diverse associazioni della comunità ebraica di Milano hanno espresso soddisfazione. “Non possiamo più permettere che l’odio diventi normale sui social”, ha detto un portavoce della Comunità Ebraica milanese. La senatrice Segre, invece, non ha rilasciato commenti, mantenendo un profilo basso negli ultimi mesi.
La vicenda riporta al centro del dibattito la responsabilità personale nell’uso dei social e il pericolo che parole d’odio possano trasformarsi in fenomeni difficili da fermare.