Torino, 23 novembre 2025 – Al 43° Torino Film Festival arriva una voce che rompe il coro. Si chiama “Coexistence, My Ass!”, il documentario di Amber Fares in concorso in questi giorni e atteso nelle sale italiane con Wanted tra gennaio e febbraio 2026. Il film, girato nell’arco di cinque anni tra Israele, Palestina e Stati Uniti, segue la storia personale e artistica di Noam Shuster Eliassi, comica e attivista israeliana che ha scelto la satira per raccontare – e mettere in discussione – il sogno della convivenza tra i due popoli.
Noam Shuster Eliassi, tra sogno e realtà
Noam è cresciuta a Neve Shalom/Wahat al-Salam (Oasi della Pace), un piccolo villaggio a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv. Figlia di madre ebrea iraniana e padre ebreo rumeno, ha vissuto in una comunità fondata negli anni Settanta per accogliere in parti uguali famiglie ebree e palestinesi. Qui, la parola “pace” non era solo un’idea vuota. “Ero convinta che sarei diventata la testimonial del processo di pace israelo-palestinese”, ha raccontato durante la presentazione a Torino. Ma col passare degli anni, la realtà si è fatta più dura. “Mi sono accorta presto che l’attivismo tradizionale non bastava più”.
La satira come arma
Dopo un periodo nell’attivismo classico, Noam ha scelto un’altra strada: la stand-up comedy. Una mossa insolita e rischiosa, in un ambiente dove le parole possono pesare come pietre. Il suo spettacolo – che dà il titolo al film – ha cominciato a girare tra Tel Aviv, Ramallah e New York. “La mia satira è diventata più dura”, ammette la comica, “perché solo così il pubblico può affrontare certe verità scomode”. Intanto, la sua fama cresceva, ma il clima attorno a lei diventava sempre più teso: tensioni politiche, nuove ondate di violenza, un processo di pace che sembrava allontanarsi ogni giorno di più.
L’incontro con Amber Fares e il documentario
Amber Fares, regista canadese-libanese nota per “Speed Sisters”, ha conosciuto Noam per caso in un bar di Brooklyn nell’autunno del 2019. “Si era appena trasferita ad Harvard grazie a una borsa di studio”, ha raccontato Fares durante la conferenza stampa al festival. “Stava lavorando a uno spettacolo comico dal titolo ‘Coexistence, My Ass!’. All’inizio pensavo di fare un corto sulle sue esperienze negli Stati Uniti, ma poi ho capito che c’era molto di più: una riflessione amara sull’industria della pace e sulle sue contraddizioni”.
Un racconto che va oltre i confini
Il documentario mescola scene di vita quotidiana – prove in piccoli club americani, telefonate con la famiglia in Israele – a momenti pubblici: interviste, spettacoli dal vivo, incontri con attivisti palestinesi ed ebrei. In ogni scena si sente la fatica di tenere insieme ironia e dolore, speranza e delusione. “Noam dice spesso che la speranza è un lusso”, confida Fares. “Ma anche perderla è un lusso”. Una frase che riassume il tono del film: mai retorico, spesso sorprendente.
Un film dentro il tempo che viviamo
Il documentario arriva in un momento segnato da nuove tensioni in Medio Oriente. “Israele sta ancora colpendo Gaza e il Libano”, ricorda la regista. “Non è facile essere ottimisti”. Ma qualcosa sembra muoversi. “Oggi il mondo è più consapevole di ciò che succede ai palestinesi”, aggiunge Fares. “Possiamo solo sperare che cambi qualcosa”. Una speranza fragile, certo, ma ancora viva nelle parole – e nelle battute – di Noam Shuster Eliassi.
“Coexistence, My Ass!” arriverà nelle sale italiane nei primi mesi del 2026. Un film che non dà risposte facili, ma invita a guardare oltre gli slogan. E, forse, almeno per una sera, a ridere dell’impossibile.