Milano, 23 novembre 2025 – Lo smart working non ha dato né un vero slancio né un freno alla produttività delle aziende italiane tra il 2019 e il 2023. È quanto emerge da uno studio della Banca d’Italia, pubblicato oggi, che ha analizzato come il lavoro da remoto abbia influenzato le imprese dopo la spinta ricevuta durante la pandemia. I ricercatori sottolineano che il lavoro agile, adottato in massa durante l’emergenza sanitaria, è rimasto molto diffuso anche negli anni seguenti, ma con effetti molto diversi a seconda delle aziende.
Smart working e produttività: un bilancio tra luci e ombre
La ricerca della Banca d’Italia si basa su un ampio insieme di dati raccolti dal 2019 al 2023. Gli analisti hanno trovato che lo smart working ha avuto un impatto piuttosto “trascurabile” sulla produzione delle imprese, sia guardando ai ricavi sia alla quantità di prodotti realizzati. Anche altri indicatori – come il numero di dipendenti, le ore lavorate, i profitti e i costi variabili – non hanno subito cambiamenti importanti attribuibili al lavoro da remoto. “Non si registrano nemmeno effetti significativi sugli investimenti nelle tecnologie 4.0”, si legge nel rapporto.
Dietro questa stabilità apparente, però, si nasconde una forte eterogeneità. Le aziende che già prima della pandemia avevano provato il lavoro da remoto hanno visto migliorare la produttività e hanno deciso di continuare a usarlo anche dopo la fase più critica. “Le esperienze positive con il lavoro da remoto hanno probabilmente aiutato a superare i dubbi iniziali”, spiegano i ricercatori.
Resistenze e incertezze: il peso della cultura aziendale
Al contrario, le imprese più restie a usare lo smart working prima del Covid hanno avuto risultati meno incoraggianti. Spesso queste aziende hanno scelto di abbandonare il lavoro agile una volta passata l’emergenza. “L’incertezza è stata una grande difficoltà nell’adottare il lavoro da remoto”, sottolineano gli autori.
Per la Banca d’Italia, la pandemia ha rappresentato un grande “esperimento sociale” che però ha ridotto le resistenze solo in alcune parti del tessuto produttivo italiano. Molte aziende, soprattutto quelle meno abituate ai processi digitali o meno propense a delegare, hanno faticato ad adattarsi. In questi casi, il ritorno in ufficio è stato rapido e deciso.
Cosa ci aspetta: assunzioni e investimenti digitali
Gli esperti invitano a tenere conto di questa eterogeneità nelle future analisi sull’impatto dello smart working. Le differenze tra aziende possono influenzare non solo la produttività, ma anche le modalità di assunzione, gli investimenti in tecnologie digitali e l’organizzazione interna. “Le prossime ricerche dovranno considerare questi aspetti”, si legge nel documento.
Un dato interessante riguarda la forza lavoro: lo smart working non ha cambiato in modo significativo la composizione dei dipendenti nelle aziende italiane. Anche gli investimenti in innovazione tecnologica sono rimasti stabili, senza grandi accelerazioni o rallentamenti legati al lavoro da remoto.
Il dibattito resta vivo: tra speranze e realtà
Il tema dello smart working continua a far discutere manager e lavoratori. Da una parte, molte imprese hanno scoperto nuove possibilità organizzative e una flessibilità maggiore. Dall’altra, però, restano dubbi sull’efficacia di questa modalità nel lungo periodo. “Abbiamo imparato molto in questi anni”, racconta un responsabile delle risorse umane di una media impresa milanese, “ma restano tante domande su come trovare il giusto equilibrio tra autonomia e controllo”.
In sintesi, lo studio della Banca d’Italia offre una fotografia chiara: lo smart working non è stato né una rivoluzione né un ostacolo per la produttività italiana. Piuttosto, ha messo in evidenza le differenze profonde tra le aziende e la necessità di adattare le strategie alle caratteristiche di ogni realtà produttiva.