Milano, 16 novembre 2025 – Negli ultimi dodici anni in Italia sono spariti più di 140mila negozi e attività di commercio al dettaglio, tra esercizi tradizionali e ambulanti. A dirlo è uno studio di Confcommercio che mette in luce una situazione sempre più preoccupante. La desertificazione commerciale avanza a grandi passi, soprattutto nei centri storici e nei piccoli comuni, lasciando quartieri interi senza servizi di vicinato e con un tessuto sociale sempre più fragile.
Il commercio al dettaglio in crisi: i numeri che raccontano il declino
Nel 2024 in Italia si contano circa 534mila imprese di commercio al dettaglio. Di queste, quasi 434mila sono negozi fissi, poco meno di 71mila ambulanti e circa 30mila operano online o con la vendita per corrispondenza. Rispetto al 2012 il calo è netto: quasi 118mila negozi fissi in meno e circa 23mila attività ambulanti in meno. In totale, oltre 140mila imprese che non ci sono più. Confcommercio parla di un “eccesso di chiusure rispetto alle aperture”, un fenomeno che si è aggravato dopo la pandemia e con l’esplosione dell’e-commerce.
Proprio quest’ultimo settore, invece, cresce a ritmi vertiginosi: le imprese attive nella vendita online o per corrispondenza sono aumentate di oltre 16mila unità, un balzo del 114,9%. È il segno che gli italiani comprano sempre di più da casa, lasciando i negozi di quartiere sempre più isolati.
Negozi in difficoltà e vetrine spente
I settori più colpiti sono ben individuabili. I distributori di carburante hanno perso il 42,2% delle attività, gli esercizi di articoli culturali e ricreativi il 34,5%, mentre il commercio non specializzato ha subito un calo del 34,2%. Mobili, ferramenta, abbigliamento e calzature segnano diminuzioni tra il 25 e il 27%. Nel frattempo, aumentano i negozi vuoti: oggi sono oltre 105mila, e un quarto di questi è rimasto chiuso per più di un anno. Una presenza silenziosa che si vede in tante vie cittadine, con saracinesche abbassate e vetrine impolverate, che trasmette un senso di abbandono e insicurezza.
Confcommercio lancia l’allarme: senza interventi mirati per riqualificare le aree urbane e recuperare gli spazi inutilizzati, entro il 2035 potrebbero chiudere altre 114mila imprese al dettaglio. Un vero colpo al cuore delle città. “Ogni negozio che chiude significa meno sicurezza, meno servizi e meno vita sociale nei quartieri”, avverte il presidente Carlo Sangalli. “Se non si agisce, rischiamo di trasformare le nostre città in luoghi vuoti e senza anima”.
Ristorazione e turismo: qualche segnale positivo
Non tutto è nero. Il settore dei servizi di alloggio e ristorazione mostra qualche segnale di crescita. Nel 2024 le imprese attive sfiorano quota 337mila, con un aumento del 5,8% rispetto al 2012. La ristorazione cresce del 17,1%, mentre gli alberghi tradizionali diminuiscono del 9,5%. A compensare, però, c’è l’exploit di strutture alternative come bed & breakfast, affittacamere e case vacanza, che sono cresciute del 92,1% dal 2012. Cambiano le esigenze dei viaggiatori, cambia la città.
Le mosse per fermare il declino
Confcommercio chiama tutti a fare la loro parte. “Servono scelte rapide e condivise tra istituzioni, imprese e territori”, spiega Sangalli. Tra le priorità ci sono politiche fiscali più giuste, un accesso al credito più semplice e misure concrete per accompagnare la ripresa economica. Ma soprattutto è urgente riempire i negozi vuoti, coinvolgendo enti locali e chi può dare una mano.
La risposta di Confcommercio si chiama progetto Cities: un piano per fermare la desertificazione commerciale, rigenerare le zone in difficoltà e valorizzare le economie di vicinato. “Solo così si potrà migliorare la qualità della vita dei residenti e l’offerta per i turisti”, conclude Sangalli.
Il futuro del commercio in Italia passa per questa strada: saper reinventare gli spazi urbani e sostenere chi ancora decide di tenere aperta la sua bottega sotto casa.