Luca Telese, noto giornalista e conduttore televisivo, ha recentemente espresso il suo sconcerto riguardo alle affermazioni di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, nei confronti di Liliana Segre. Segre è una delle figure più emblematiche della memoria dell’Olocausto in Italia. In un post su X, Telese ha manifestato il suo disappunto per le dichiarazioni della Albanese, che ha messo in discussione l’attendibilità di Segre a causa del suo vissuto traumatico, suggerendo che le esperienze personali possano influenzare il giudizio su questioni complesse come il genocidio.
Telese ha commentato: «Ho letto con sconcerto le parole di Francesca Albanese contro Liliana Segre, definita non attendibile perché il dolore per ciò che ha vissuto nel lager la rende “poco lucida” ed emotivamente legata a Israele». Questo passaggio ha suscitato un acceso dibattito sulla legittimità di utilizzare le esperienze personali come strumento di analisi e valutazione di eventi storici e politici. L’argomento è particolarmente delicato, poiché Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto e senatrice a vita, ha dedicato gran parte della sua vita a ricordare le atrocità subite e a combattere contro l’antisemitismo e la discriminazione.
Le critiche di Telese e la metafora del cancro
Nel suo intervento, Telese ha utilizzato una metafora forte per illustrare la sua posizione: «Trovo folle la metafora del malato di cancro che non potrebbe essere attendibile quando parla del cancro (il genocidio), perché solo l’oncologo (cioè lei, la Albanese) può parlare del cancro». Questa affermazione ha sollevato interrogativi su chi possa legittimamente parlare di esperienze traumatiche e su come la società riconosca e valorizzi le testimonianze di coloro che hanno vissuto eventi storici significativi.
Inoltre, Telese ha ampliato il suo ragionamento, affermando che se si segue il ragionamento della Albanese, figure come Primo Levi e Hannah Arendt, che hanno affrontato e descritto l’orrore dell’Olocausto, non avrebbero alcuna autorità per farlo. Ha sottolineato: «Una giornalista (Hannah Arendt) non avrebbe potuto scrivere “La banalità del male”. E il più grande narratore italiano del Novecento – Primo Levi – nulla potrebbe dire sull’Olocausto. In primo luogo perché (teorema Albanese) “poco lucido” in quanto sopravvissuto». Questo mette in secondo piano la questione cruciale della verità storica e della responsabilità di chi ha vissuto eventi traumatici nell’ereditare e comunicare tali esperienze.
Il contesto televisivo: il caso a «In Onda»
Il dibattito è diventato ancora più acceso in seguito a un episodio avvenuto durante la trasmissione «In Onda», condotta da Telese e Marianna Aprile. Durante un’intervista, l’ospite Francesco Giubilei ha espresso opinioni simili a quelle di Liliana Segre riguardo al genocidio a Gaza. La reazione di Francesca Albanese è stata di abbandonare lo studio, un gesto che ha scatenato polemiche e discussioni su cosa significhi davvero confrontarsi su temi tanto delicati.
In una successiva spiegazione, Albanese ha giustificato la sua uscita dall’emittente affermando di avere «un impegno già in programma» e di non volersi confrontare con «due persone che non sono preparate sul tema Gaza». Questa affermazione ha ulteriormente alzato il livello di tensione, sollevando interrogativi su cosa significhi essere “preparati” su questioni così complesse e sfumate come quelle relative alla politica internazionale e ai conflitti armati.
Le reazioni e le implicazioni
Le parole di Telese e il comportamento di Albanese hanno aperto un dibattito ampio e articolato non solo sull’attendibilità delle testimonianze, ma anche su come la società si confronta con la memoria storica e il diritto di parola. La questione del genocidio coinvolge non solo la storia del passato, ma anche gli eventi attuali, creando un legame tra memoria e giustizia.
La polemica ha messo in evidenza le divisioni presenti all’interno del panorama mediatico italiano, dove le opinioni su temi delicati come il conflitto israelo-palestinese e l’antisemitismo possono generare reazioni forti e polarizzate. La recente esplosione di tensioni in Medio Oriente ha reso queste discussioni ancora più urgenti, portando a riflessioni su cosa significhi realmente avere una «voce» in una società che si confronta con le proprie ferite storiche e le attualità politiche.