Nel panorama cinematografico italiano, esistono opere che, pur essendo state realizzate, rimangono avvolte nel mistero e nell’oblio. Una di queste è il film “Il generale dell’armata morta”, che avrebbe dovuto vedere protagonisti attori di spicco come Marcello Mastroianni, Michel Piccoli e Anouk Aimée. La storia di questo film, analizzata nel libro “Una storia scomoda” di Antonio Caiazza, è segnata da una serie di ostacoli burocratici e da una censura internazionale che ne hanno impedito la diffusione.
Tratta dal romanzo omonimo dello scrittore albanese Ismail Kadare, la trama del film narra una missione militare italiana negli anni ’50 in Albania, il cui obiettivo era il recupero delle salme dei soldati italiani caduti durante il conflitto contro le forze greche e i partigiani albanesi. Nonostante la delicatezza del tema, la produzione si scontrò con una serie di difficoltà, principalmente dovute a pressioni politiche dall’Italia, che temeva per l’immagine del paese e per il mito degli “italiani brava gente”.
Le difficoltà delle riprese
Le riprese, programmate tra il 1980 e il 1982, furono ostacolate da vari impedimenti. Inizialmente, si pensava che le difficoltà fossero causate dalla burocrazia albanese, sotto il regime autoritario di Enver Hoxha. Tuttavia, le ricerche di Caiazza hanno dimostrato che il vero nemico del progetto era la censura italiana, che bloccò il film per evitare che potesse influenzare negativamente l’immagine del paese.
Un contesto storico complesso
Questo episodio si inserisce in un contesto storico più ampio, caratterizzato da relazioni tese tra Italia e Albania. Le cicatrici del colonialismo italiano erano ancora fresche e rappresentavano un nervo scoperto per la politica italiana. Le ricerche condotte dal giornalista Angelo Del Boca avevano già evidenziato come la narrativa dell’italiano come “brava gente” fosse fragile e spesso in contrasto con la realtà storica.
L’eredità di un film censurato
Un altro esempio di come la censura abbia influenzato la produzione cinematografica italiana è il film “Il leone del deserto”, che affrontava l’occupazione italiana della Libia. Questo lungometraggio, pur avendo un cast di alto livello, giunse in Italia solo nel 2009, ben dopo la sua uscita nel 1980. La storia del cinema italiano è costellata di tentativi di affrontare il passato coloniale del paese, spesso ostacolati da una cultura della negazione e da un’auto-censura.
Il film “Il generale dell’armata morta”, diretto da Luciano Tovoli, rappresenta un caso emblematico di questa dinamica. Dopo aver tentato di girare in Albania, Tovoli dovette spostare le riprese in Abruzzo. Nonostante le avversità, il film fu distribuito in Francia nel 1983, ottenendo un buon successo. In Italia, però, dovette attendere fino al 1985 per essere trasmesso in televisione su Rai Due.
Solo nel 2023, l’Albania ha potuto finalmente vedere il film, un evento che segna un’importante apertura culturale e un passo verso la riconciliazione con il proprio passato. La storia di “Il generale dell’armata morta” non è solo quella di un’opera cinematografica perduta, ma rappresenta un capitolo cruciale nella narrazione del colonialismo italiano e delle sue conseguenze. Attraverso l’analisi di Caiazza, possiamo comprendere meglio come storia e cinema si intreccino, rivelando verità spesso sepolte sotto il peso della censura e della narrativa ufficiale.