Il caso di violenza sessuale avvenuto nella notte tra il 30 e il 31 agosto vicino alla stazione di San Zenone al Lambro, nel Milanese, ha scosso profondamente la comunità locale, portando a un’immediata mobilitazione delle forze dell’ordine. Grazie all’analisi del Dna, le indagini hanno preso una piega decisiva, portando all’arresto di Harouna Sangare, un richiedente asilo di 25 anni originario del Mali.
Sangare, già noto alle forze dell’ordine per precedenti legati a lesioni e maltrattamenti, lavorava come aiuto cuoco part-time in una struttura di accoglienza. La gravità delle accuse mosse contro di lui, che comprendono violenza sessuale aggravata e lesioni, ha sollevato interrogativi non solo sul suo profilo personale, ma anche sul sistema di accoglienza e sulla sicurezza nei luoghi pubblici.
La testimonianza della vittima
La vittima, una giovane di 18 anni, si trovava nella zona per tornare a casa dopo aver trascorso del tempo con la sorella. Durante il tragitto, è stata avvicinata da uno sconosciuto che, con una violenza inaudita, l’ha aggredita. Le sue parole, riportate dai carabinieri, descrivono un episodio drammatico: “Mi ha tappato la bocca e il naso con la mano. Mi ha sbattuta a terra. Poi ha afferrato il mio collo. La presa era così forte che non riuscivo a respirare. Pensavo di morire.” Questa testimonianza mette in evidenza non solo la brutalità dell’aggressione, ma anche il trauma psicologico che la giovane dovrà affrontare.
Dopo quasi un’ora di violenza, la vittima è riuscita a contattare i servizi di emergenza, e i carabinieri, giunti sul posto, l’hanno trovata in lacrime nel sottopasso della stazione. È stata immediatamente trasportata al centro antiviolenza della clinica Mangiagalli, dove ha ricevuto assistenza medica e psicologica. Durante le prime fasi dell’indagine, gli inquirenti hanno raccolto prove cruciali, tra cui tracce biologiche rinvenute sugli abiti della ragazza.
L’indagine e l’arresto
Le indagini sono state coordinate dalla procura di Lodi, sotto la direzione della procuratrice Laura Pedio e della pm Martina Parisi. Le immagini delle telecamere di sorveglianza hanno rivelato la presenza di un uomo che rientrava nel vicino centro di accoglienza “Casa Papa Francesco” poco dopo la mezzanotte, un indizio che ha indirizzato gli investigatori verso Sangare. Il direttore della struttura ha confermato che l’uomo era un dipendente, impiegato come aiuto cuoco, e che quella sera stava sostituendo un collega.
L’analisi del Dna ha rappresentato un punto di svolta decisivo. Gli investigatori hanno prelevato campioni biologici dagli indumenti della vittima e, dopo aver isolato un profilo maschile, hanno avviato una campagna di prelievi a tappeto nel centro di accoglienza. Sangare si è presentato volontariamente per il prelievo del Dna, consapevole delle accuse che si profilavano contro di lui. Tuttavia, i risultati del laboratorio, inviati al RIS di Parma, hanno confermato la corrispondenza tra il suo profilo genetico e le tracce trovate sugli indumenti della giovane.
Riflessioni sulla sicurezza e integrazione
Harouna Sangare si era stabilito in Italia poco più di un anno fa, dopo aver ottenuto uno status di protezione sussidiaria a luglio 2024. La sua vita in Italia, tuttavia, è stata segnata da un passato complesso. Risiedeva in una struttura della onlus “Fratelli di San Francesco” a Milano, dove svolgeva un lavoro part-time. Era sposato e aveva una figlia, entrambe ospitate in un altro centro in provincia di Milano. Questi dettagli biografici hanno sollevato ulteriori interrogativi sulla sua integrazione nel tessuto sociale italiano e sulle dinamiche che possono aver contribuito al suo comportamento violento.
Dopo la conferma del Dna, è scattato il fermo per Sangare, che è stato difeso dall’avvocato Marco Moscatiello. Attualmente, si trova in carcere in attesa della convalida del gip e della decisione sulle misure cautelari. La comunità locale, intanto, è in attesa di sviluppi, e l’episodio ha riacceso il dibattito sulla sicurezza pubblica e sull’efficacia del sistema di accoglienza per richiedenti asilo in Italia.
La violenza di genere, purtroppo, è un problema persistente, e casi come quello di San Zenone al Lambro evidenziano l’importanza di garantire supporto e protezione alle vittime, oltre a una risposta rapida ed efficace da parte delle autorità. In questo contesto, il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura assume un ruolo cruciale, non solo per garantire giustizia, ma anche per prevenire simili drammi in futuro.