In un futuro inquietante e sempre più desolato, dove le temperature serali raggiungono picchi estremi e le relazioni umane si fanno fragili, si colloca il film “Don’t let the sun”, diretto da Jacqueline Zünd. Questa produzione italo-svizzera ha debuttato al Festival di Locarno, ottenendo il premio per la migliore interpretazione maschile grazie alla performance di Levan Gelbakhiani, un attore georgiano di grande talento.
La trama ruota attorno a Jonah, un giovane di 28 anni che lavora per un’agenzia specializzata nella creazione di relazioni umane a pagamento. In un mondo in cui la solitudine è diventata la norma, Jonah si trova a fare da “padre” a Nika, una ragazza di cui si prende cura, figlia di una madre che ha scelto di crescere la sua bambina da sola. Questo legame lo porta a esplorare una parte di sé che non conosceva, mettendo in luce le sfide delle relazioni umane nella società contemporanea.
Ispirazione e tematiche del film
Jacqueline Zünd ha tratto ispirazione per “Don’t let the sun” durante un viaggio in Giappone, dove ha scoperto un’agenzia che permette di noleggiare contatti sociali. Questo spunto l’ha portata a riflettere su come le nostre relazioni siano influenzate dall’ambiente circostante. Zünd ha dichiarato: “L’idea è nata mentre ero in Giappone per un altro progetto. Ho iniziato a pensare alle nostre relazioni umane, come cambiano e come vengono influenzate dal mondo esterno”. La sceneggiatura, scritta in collaborazione con Arne Kohlweyer, affronta il tema dell’alienazione e della solitudine, integrandolo in un contesto di crescente crisi climatica.
Scelte stilistiche e ambientazione
Il film si distingue per la sua narrazione e per la scelta stilistica di rappresentare l’architettura brutalista, che riflette la fragilità umana. Zünd aveva inizialmente pensato di girare a São Paulo, in Brasile, una città nota per i suoi edifici brutalisti. Tuttavia, a causa di complicazioni politiche e di co-produzione, le riprese si sono spostate tra Milano e Genova. Alcuni luoghi significativi includono:
- Il complesso abitativo di Monte Amiata
- Le famose “Lavatrici” di Genova
Il contesto climatico del film non è solo un’ambientazione, ma un personaggio attivo che influisce sulle vite dei protagonisti. I personaggi vivono principalmente di notte, poiché il caldo torrido delle giornate rende impossibile la vita all’aperto. Questa scelta narrativa accentua la sensazione di isolamento e alienazione, rendendo la calura opprimente un simbolo delle pressioni che la società deve affrontare.
Riflessioni sul futuro
Attraverso la lente di Zünd, “Don’t let the sun” invita a riflettere su quanto la nostra connessione con gli altri sia messa a dura prova in un mondo in rapido cambiamento. La solitudine di Jonah e Nika rappresenta una condizione condivisa da molti in una società dove le interazioni umane genuine sono sempre più rare. La scelta di noleggiare amicizie o relazioni familiari diventa una metafora della nostra incapacità di costruire legami autentici.
In conclusione, “Don’t let the sun” non è solo un’opera di fiction, ma una profonda riflessione sulle conseguenze della nostra indifferenza verso il riscaldamento globale e sull’importanza delle relazioni umane. La regista, con una visione lucida e critica, riesce a trasmettere un messaggio potente e urgente, rendendo il film una testimonianza delle sfide contemporanee. La fusione di elementi drammatici e sociali, unita a una regia attenta e a una sceneggiatura incisiva, pone “Don’t let the sun” come un’opera significativa nel panorama cinematografico attuale, capace di stimolare discussioni e riflessioni sul nostro futuro collettivo.