In un’epoca in cui il cyberbullismo e le minacce online sono all’ordine del giorno, la storia di Martina Murenu, influencer e digital creator di 32 anni originaria di Cagliari, rappresenta un esempio drammatico di come la violenza verbale possa colpire anche le figure più visibili sui social media. Con un seguito di oltre 100mila follower su Instagram, Martina ha affrontato critiche e insulti, ma durante una diretta social il 18 agosto, ha subito minacce che hanno superato ogni limite accettabile.
la diretta inquietante
Durante la diretta, due uomini, mascherati da nickname falsi, hanno inondato i commenti con frasi terribili e intimidatorie. Tra le minacce più inquietanti si possono citare:
- «Ti taglio la gola»
- «Ti sfregio con l’acido»
- «Fai la fine di Yara Gambirasio»
- «Sono come Turetta»
Queste affermazioni non solo hanno colpito Martina, ma hanno anche evocato il ricordo di Yara Gambirasio, una giovane vittima di un crimine efferato, rendendo le minacce ancora più pesanti e dolorose. Decisa a non rimanere in silenzio, Martina ha condiviso il video della diretta sui suoi profili social per denunciare l’accaduto.
la reazione e l’impegno legale
Martina ha dichiarato di voler intraprendere azioni legali non appena rientrerà in Italia. In un’intervista a La Stampa, ha affermato: «Rientrerò presto in Sardegna dagli Usa e farò denuncia». La sua determinazione è chiara: «Non possiamo più stare zitti. Agirò per vie legali». Ha anche espresso il desiderio di scusarsi con i familiari delle vittime di violenza, come Yara Gambirasio e Giulia Cecchettin, per il dolore che tali frasi potrebbero risvegliare.
Inoltre, Martina ha evidenziato che la violenza verbale non si è limitata a queste minacce iniziali. Ha spiegato: «La cosa più grave è che oltre alle irripetibili frasi, sono spuntati altri uomini, tutti pronti a fare commenti offensivi e sessisti». Questo fenomeno di emulazione tra utenti, in particolare uomini, mette in luce un problema più ampio: la cultura della violenza e dell’odio online.
un appello alla responsabilità
Martina ha lanciato un appello diretto agli aggressori, chiedendo che i genitori riconoscano le voci dei propri figli e che le fidanzate si rendano conto di chi hanno accanto. Ha affermato: «Voglio che i genitori di questi elementi riconoscano le voci di ciò che hanno messo al mondo». Questo invito invita a riflettere su come la violenza verbale e i comportamenti tossici possano essere radicati in una cultura che spesso minimizza tali azioni.
La battaglia di Martina non è solo personale; rappresenta un grido di giustizia per tutte le donne che hanno subito simili violenze. Ha dichiarato con passione: «Chiedo giustizia per me e per tutte le volte che sono rimasta in silenzio e sono crollata. Ma chiedo giustizia anche per noi tutte, per tutte le donne». Con il suo gesto, Martina si è fatta portavoce di una lotta più ampia contro il sessismo e la violenza di genere.
La vicenda di Martina non è un caso isolato. Molte donne, soprattutto nel mondo digitale, affrontano minacce simili, spesso senza conseguenze per gli aggressori. È fondamentale che le istituzioni e le piattaforme social collaborino per creare un ambiente più sicuro, dove le voci delle donne non vengano soffocate dalla paura di ritorsioni.
Il coraggio di Martina nel denunciare pubblicamente queste minacce rappresenta una luce di speranza. La sua storia è un richiamo all’azione per tutti coloro che credono nella giustizia e nel rispetto reciproco. Ogni voce conta, e la mobilitazione collettiva è essenziale per combattere la cultura della violenza e dell’impunità. La battaglia di Martina è solo l’inizio di un percorso che richiede impegno e determinazione, ma che può portare a un cambiamento significativo nella società.