Due storie di dolore e tradimento si intrecciano in un’esperienza devastante. Chiara e un’altra donna, entrambe vittime del gruppo Facebook “Mia Moglie”, raccontano come hanno scoperto di essere state esposte a una comunità di oltre 32.000 membri, dove venivano condivise immagini intime di mogli, compagne e figlie, senza il loro consenso. Sebbene il gruppo sia stato chiuso dopo un’ondata di segnalazioni alla polizia postale, il danno era già stato fatto. A pochi giorni dalla rivelazione di questo scandalo, le vittime hanno deciso di rompere il silenzio, denunciando non solo l’atto di violenza subito, ma anche le ferite emotive che ne sono derivate.
La testimonianza di Chiara
La prima testimonianza proviene dal Sud Italia. Con un nome fittizio per proteggere la sua identità, Chiara ha condiviso la sua esperienza con gli amministratori della community Alpha Mom e con Repubblica. “Ho visto foto del mio corpo nudo, immagini che avevo condiviso solo con mio marito, accompagnate da commenti agghiaccianti. A diffondere quelle foto era stato proprio l’uomo con cui avevo costruito una famiglia”, racconta. Questa rivelazione ha aperto una ferita profonda in famiglia.
Quando ha capito che il suo “giocattolo” stava per esplodere, Chiara ha ricevuto una confessione dal marito: “Ha rimosso i contenuti, ma non prima di scrivere: ‘Salve, sono nuovo in questo gruppo, ho una moglie super bona e arrapante. Posso garantirvi che è una gran tr… e uno spettacolo della natura’. È stato orribile”.
La scoperta devastante dell’altra vittima
La seconda testimonianza arriva da un’altra donna che, dopo aver sentito parlare del gruppo, ha deciso di curiosare. “Ho letto commenti di attiviste e femministe, così sono entrata nel gruppo senza iscrivermi. I commenti erano schifosi, ma quello che ho scoperto è stato devastante. Ho trovato una foto di me, nel mio letto, in primo piano”, racconta. Anche se il viso non era visibile, ha immediatamente riconosciuto il contesto. “Non potevo credere ai miei occhi. È stato un colpo al cuore”.
Le reazioni dei mariti delle due donne sono state simili, riducendo il loro comportamento a un “gioco”. Chiara ha cercato di capire il suo compagno, ma lui non ha mostrato alcun pentimento, minimizzando il suo gesto. “Ho cercato di capire se potesse passarmi, ma lui ha solo sminuito la gravità della situazione”, racconta Chiara. L’altra vittima ha affrontato il marito direttamente, mostrando la foto e chiedendo spiegazioni. “Lui è rimasto interdetto, ma alla fine ha detto che stava ‘solo giocando’. Una risposta indegna”, conferma.
La lotta per la giustizia
Le dinamiche di violenza non si limitano a quelle psicologiche. Chiara ha descritto una situazione complessa: “Lui non vuole andarsene e mi urla contro, accusandomi di voler distruggere la nostra famiglia per una scemenza”. In contrasto, l’altra donna ha preso una decisione netta: “Gli ho chiesto di fare le valigie e andarsene. Non potevo più sopportarlo”. Entrambe le donne denunciano che ciò che hanno subito è una forma di violenza. “L’uomo che mi diceva ‘ti amo’ e che mi ha sposato ha abusato di me, esponendomi come un oggetto”, afferma una delle vittime.
Oltre alle difficoltà economiche, Chiara ha rivelato: “Non ho lo stesso stipendio di lui e le mie possibilità economiche non mi permettono di andarmene”. Questa situazione è ulteriormente complicata dalla presenza di figli adolescenti, che ancora non conoscono la verità. “Ho detto loro che papà è dovuto partire per lavoro all’improvviso. Ho bisogno di tempo prima di parlarne con loro”, spiega. L’altra vittima, incredula, si interroga su come un gruppo del genere, attivo per sei anni, sia potuto rimanere inosservato. “Possibile che Facebook non si sia accorto di nulla?”, si chiede.
Entrambe le donne si sentono ora pronte a denunciare. Chiara ha trovato supporto in altre madri e sta preparando il passo decisivo: “Chiederò consiglio a un avvocato su come muovermi. Ho aperto gli occhi e non intendo richiuderli”. Hanno raccolto prove, screenshot e testimonianze, e sono determinate a chiedere giustizia. La loro storia rappresenta non solo una battaglia personale, ma anche una lotta collettiva contro la violenza di genere e l’umiliazione subita, un tema che merita di essere discusso e affrontato con serietà e determinazione.