La storia di Luca Orioli e Marirosa Andreotta, i due giovani fidanzati di Policoro, è una vicenda che continua a sollevare interrogativi e dubbi anche dopo 37 anni. Il tragico evento del 23 marzo 1988 ha scosso profondamente la comunità di Policoro, in provincia di Matera. Luca, di soli 23 anni, fu trovato privo di sensi nella loro abitazione, mentre Marirosa, di 21 anni, giaceva senza vita nella vasca da bagno. La versione ufficiale parlava di un incidente domestico causato da una fuga di monossido di carbonio, ma la madre di Luca, Olimpia Fuina Orioli, non ha mai accettato questa spiegazione.
La ricostruzione degli eventi
Le autorità di Matera hanno inizialmente ricostruito gli eventi sostenendo che Marirosa fosse stata colpita per prima dalle esalazioni tossiche mentre si trovava sotto la doccia. Luca, accortosi della situazione, sarebbe accorso in suo aiuto, perdendo a sua volta la vita. Tuttavia, questa tesi ha sollevato numerosi interrogativi. Già nel 1989, il giudice istruttore Michele Salvatore chiese ulteriori accertamenti, esprimendo scetticismo sull’ipotesi dell’incidente. Negli anni successivi, anche il pubblico ministero Luigi De Magistris accennò a un possibile «duplice omicidio», aprendo la porta a scenari ben più inquietanti.
La battaglia di Olimpia Fuina Orioli
Olimpia, ora 84enne e insegnante in pensione, ha intrapreso una battaglia instancabile per ottenere verità e giustizia per suo figlio. Da quasi quattro decenni, chiede a gran voce che il caso venga riaperto, sostenendo di avere motivi fondati per dubitare della versione ufficiale. Secondo lei, la storia del monossido di carbonio non regge:
- La porta del bagno era aperta.
- La stanza era ben areata.
- Luca aveva un testicolo gonfio, come se fosse stato colpito.
- Marirosa presentava una ferita alla testa.
Questi segni, secondo Olimpia, non possono essere ignorati.
Elementi inquietanti e richieste di giustizia
A rendere la situazione ancora più complessa è una lettera scritta da Marirosa a Luca poco prima della tragedia, in cui la giovane accennava a un “segreto” che desiderava cancellare dalla sua vita. Negli anni, sono emerse voci di festini clandestini organizzati in un villaggio turistico di Policoro, con la partecipazione di uomini di potere e giovani donne. Un ex collaboratore di giustizia ha rivelato un viavai sospetto di auto di grossa cilindrata, confermato dal custode del villaggio. Questi dettagli inquietanti si intrecciano con la lotta di Olimpia, che teme un insabbiamento attorno alla morte dei due ragazzi.
Le richieste di Olimpia sono chiare: ascoltare sacerdoti che potrebbero avere informazioni cruciali, coinvolgere ex magistrati come Henry John Woodcock e Luigi De Magistris, e riesumare i corpi per eseguire nuovi esami medico-legali. La sua determinazione è forte: «So che si parla di incidente e che questa verità è ormai radicata. Ma se le cose stanno come credo, ci troveremmo davanti a un insabbiamento enorme. Io non smetterò mai di chiedere giustizia per Luca».
La battaglia di Olimpia è stata non solo una lotta per la verità, ma anche un percorso difficile a livello personale. Dopo la morte del marito, lei e la figlia minore hanno dovuto lasciare Policoro per trasferirsi a Matera, subendo attacchi e isolamento sociale. «Mia figlia era ridotta pelle e ossa e mi implorò di andare via. L’ho fatto per lei, ma non ho mai smesso di lottare per mio figlio», racconta, evidenziando il costo emotivo di una battaglia che continua a pesare sulla sua vita.
A 37 anni di distanza dalla tragedia, il mistero dei “fidanzatini di Policoro” resta irrisolto, con due versioni che si scontrano: da un lato la tesi dell’incidente per monossido di carbonio, dall’altro l’ipotesi di un delitto mai chiarito. La storia di Luca e Marirosa continua a essere un simbolo di speranza e ricerca della verità, un appello per tutti coloro che credono nella giustizia e nel diritto di conoscere le reali circostanze della propria perdita. La voce di Olimpia Fuina Orioli risuona ancora, forte e chiara, in un paese che non può e non deve dimenticare.