Nel cuore del polo industriale dell’elettronica di Bac Ninh, Vietnam, si cela una realtà inquietante che merita di essere raccontata. Qui, in uno dei complessi industriali più grandi al mondo, circa 100.000 persone lavorano in condizioni estreme, di cui l’80% sono donne. “She”, il documentario diretto da Parsifal Reparato, offre uno sguardo profondo e toccante su questa situazione, mettendo in luce le difficoltà e le ingiustizie che queste operaie affrontano quotidianamente. Presentato il 9 agosto alla Semaine de la Critique del Locarno Film Festival, il film è il risultato di 12 anni di ricerca da parte di Reparato, antropologo che ha dedicato la sua carriera a esplorare il contesto lavorativo vietnamita.
condizioni di lavoro opprimenti
Le scene che si susseguono nel documentario rivelano un sistema di lavoro opprimente. Le operaie sono costrette a produrre un articolo ogni trenta secondi, mentre i controllori vigilano con attenzione, pronti a registrare ogni minima imperfezione. Le regole sono ferree:
- Un verbale per un’unghia di un millimetro troppo lunga.
- Divieto assoluto di parlare durante il lavoro.
Questa struttura di controllo rigido non è solo un metodo di sfruttamento, ma un modo per mantenere il potere sulle lavoratrici, che spesso provengono da contesti socio-economici difficili.
il modello vietnam
Reparato, nel suo documentario, sottolinea come il “modello Vietnam” rappresenti un paradigma di sfruttamento industriale che ha trovato applicazione globale. Le multinazionali, attratte da costi di manodopera ridotti, si rivolgono a una forza lavoro giovane e vulnerabile. Le donne, in particolare, sono considerate l’anello più debole della catena, spesso vincolate a contratti precari e sottoposte a pressioni costanti. “Hanno creato il target perfetto: giovani, migranti e donne”, afferma il regista, evidenziando come questa strategia di assunzione sia diventata una norma per molte industrie nel mondo.
narrazioni interconnesse
Il documentario si sviluppa su tre piani narrativi distinti ma interconnessi. Il primo piano è quello delle comunità suburbane, dove vivono le lavoratrici. Qui, il film ci porta all’interno delle loro abitazioni e in un salone di parrucchiera, gestito da una ex operaia che ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza di sfruttamento. Questi spazi quotidiani sono ritratti con una sensibilità unica, mostrando come le donne cerchino di ricostruire la loro vita al di fuori delle fabbriche.
Il secondo piano narrativo si concentra sulla famiglia Tứ, che vive in un remoto villaggio tra le montagne. Questo contrasto evidenzia ulteriormente le distorsioni socio-economiche del Vietnam contemporaneo, dove la modernizzazione e la globalizzazione hanno creato disuguaglianze marcate. Le storie di queste donne si intrecciano con quelle delle loro famiglie, rivelando un tessuto di relazioni e responsabilità che spesso si scontra con le dure realtà del lavoro industriale.
Infine, il terzo piano del documentario è un laboratorio performativo in cui le lavoratrici riproducono, per dodici ore consecutive, le dinamiche della fabbrica. Qui, le donne non solo replicano i traumi vissuti durante il lavoro, ma iniziano anche a romperne gli schemi. Si riuniscono in cerchio, fanno pause e discutono delle loro emozioni, creando un ambiente che ricorda i gruppi di autocoscienza dei collettivi femministi degli anni ’60 e ’70. Questo processo di condivisione e di espressione rappresenta un momento di liberazione, un modo per affrontare le difficoltà e trovare un senso di comunità.
Il messaggio che emerge da “She” è dolce e drammatico allo stesso tempo: la gioia di poter “dire cose di cui non si può parlare in fabbrica”. Questo contrasto tra repressione e liberazione è il cuore pulsante del documentario, che invita gli spettatori a riflettere sulla condizione delle donne che lavorano in queste fabbriche e sul prezzo che pagano per il progresso economico.
Reparato, coadiuvato nella scrittura da Michela Cerimele ed Emma Ferulano, riesce a catturare l’essenza di un’epoca e di un contesto in continua evoluzione. Le immagini e le storie raccontate in “She” non sono solo un resoconto di sfruttamento, ma anche un richiamo all’azione, un invito a considerare il costo umano che si cela dietro il consumismo moderno. Con il suo approccio antropologico, il documentario si propone di sensibilizzare il pubblico su temi di giustizia sociale e diritti umani, rendendo visibili le voci di chi, troppo spesso, rimane in silenzio.