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La corte costituzionale boccia il divieto regionale calabrese per impianti a biomasse sopra i 10 mw nei parchi

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La sentenza della Corte costituzionale del 2025 ha dichiarato incostituzionale il divieto assoluto stabilito dalla regione Calabria per la realizzazione di impianti a biomasse sopra i 10 mw termici all’interno dei parchi regionali e nazionali. La decisione interviene su un contrasto tra normativa regionale e competenze statali, chiarendo i limiti legislativi nel contemperare le esigenze ambientali con le autorizzazioni energetiche. Il caso evidenzia le tensioni tra governo centrale e amministrazioni locali sul tema delle energie rinnovabili e della tutela del territorio.

Il divieto regionale e la norma contestata dalla corte

La legge regionale calabrese n. 36, entrata in vigore il 27 novembre 2024, vietava espressamente l’installazione di impianti di produzione energetica a biomasse con potenza superiore a 10 mw termici all’interno dei parchi naturali regionali e nazionali situati nel territorio calabrese. Il testo prevedeva anche l’obbligo per gli impianti già autorizzati di adeguare la potenza entro sei mesi, pena la decadenza dell’autorizzazione stessa.

Questa disposizione mirava a limitare l’impatto ambientale di tali sistemi produttivi in aree particolarmente tutelate. Tuttavia la legge regionale poneva un divieto assoluto senza prevedere alternative o possibilità di valutazioni caso per caso. Questa rigidità è stata il fulcro del ricorso presentato dallo Stato, che ha accusato la norma di ledere competenze legislative a livello nazionale e principi europei sullo sviluppo delle rinnovabili e sulla libera iniziativa economica.

La disputa tra stato e regione sulla gestione degli impianti a biomasse

Il conflitto tra Calabria e Stato è parte di un quadro più ampio riguardante la governance dell’energia in Italia. La materia energetica è spesso oggetto di contenziosi tra enti locali e governo centrale, in particolare quando si tratta di estendere o limitare l’uso di fonti rinnovabili nel territorio.

Nel tentativo di mettere ordine, il decreto ministeriale sulle aree idonee emanato il 21 giugno 2024 stabiliva criteri e regole per definire i luoghi dove è possibile installare impianti a fonti rinnovabili. Il dm consentiva alle regioni di indicare le cosiddette “aree non idonee”, dove le autorizzazioni possono essere più complesse o soggette a valutazioni più approfondite.

La disputa calabrese ruotava proprio attorno al fatto che la regione aveva scelto di imporre un divieto fisso senza consentire margini di autorizzazione neanche in casi particolari, andando contro le indicazioni del dm e le competenze statali. Lo Stato ha quindi chiesto alla corte di pronunciarsi sull’illegittimità della norma regionale.

L’orientamento della corte costituzionale sulla normativa regionale

La Corte ha riconosciuto che gli impianti a biomasse, a differenza di altre rinnovabili, possono avere un impatto ambientale significativo e che, in linea generale, è giustificato proteggerli in aree sensibili come i parchi naturali. Richiamando l’articolo 9 della Costituzione, la corte ha ribadito che la salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità rappresenta un interesse fondamentale.

Ma il nodo giuridico ha riguardato il metodo scelto per la tutela: le regioni possono stabilire “aree non idonee” dove l’installazione diventa più difficile, richiedendo valutazioni più attente e autorizzazioni rigorose. Questi strumenti, però, non possono tradursi in divieti assoluti che impediscono qualsiasi autorizzazione.

La sentenza specifica che le norme regionali devono permettere che in questi territori si possa comunque realizzare un impianto a biomasse di elevata potenza, purché accompagnato da una istruttoria motivata e da preventivi controlli stringenti. Il divieto mosso da la Calabria viola questa logica e quindi viene annullato.

Impatto per il futuro delle autorizzazioni negli spazi protetti calabresi

La decisione della corte indica un equilibrio necessario tra protezione dell’ambiente e possibilità di attuare progetti energetici rinnovabili anche nei parchi. Non elimina la possibilità di limitare o valutare caso per caso gli impianti a biomasse, ma esclude divieti rigidi senza alternative.

Le autorità dovranno quindi considerare con attenzione l’impegno costituzionale di tutelare gli ecosistemi delicati, ma dovranno procedere con valutazioni che permettano di autorizzare progetti ritenuti compatibili, anche quando la potenza supera i 10 mw termici.

Lo sviluppo di impianti in aree protette calabresi resterà soggetto a procedure più stringenti e motivazioni dettagliate, senza però impedimenti assoluti. Questi orientamenti influenzeranno non solo la Calabria, ma la gestione dei parchi naturali in Italia, riequilibrando il confronto tra tutela ambientale e produzione energetica.

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