Oliver Stone, uno dei registi più iconici del panorama cinematografico mondiale, ha recentemente ricevuto un tributo al Marateale, festival del cinema che celebra il talento e la creatività nel settore. Con una standing ovation da parte del pubblico del Teatro sul Mare del Santavenere, Stone ha condiviso dettagli della sua straordinaria carriera, con particolare attenzione alle sue radici nel cinema italiano, che lo hanno profondamente influenzato.
Le radici nel cinema italiano
Il regista, che compirà 80 anni il prossimo anno, ha rivelato di aver visto “Novecento” di Bernardo Bertolucci almeno sei volte, e di aver avuto un vero e proprio battesimo cinefilo con “La Dolce Vita” di Federico Fellini, visto al cinema con sua madre all’età di 14 anni. Questi film non sono stati solo opere da ammirare, ma esperienze formative che hanno segnato la sua visione artistica, portandolo a esplorare temi complessi e sfumature della condizione umana nei suoi film successivi.
L’autobiografia e le esperienze formative
Stone ha parlato del suo libro “Cercando la luce”, un’autobiografia che, oltre a raccontare i suoi primi quarant’anni di vita, si presenta come un ritratto di una generazione intera. La narrazione inizia con il divorzio dei suoi genitori negli anni ’60, un evento considerato inusuale all’epoca. Questa esperienza, seguita dalla sua decisione di andare in Vietnam a 19 anni come insegnante in una scuola cattolica, ha segnato profondamente la sua identità e la sua carriera.
Dopo il suo ritorno in America, ha frequentato l’Università di Yale per studiare cinema e si è arruolato come soldato durante la guerra del Vietnam, esperienza che gli ha garantito la medaglia d’onore per il suo coraggio.
La carriera nel cinema
Dopo un anno di recupero post-bellico, Stone ha cercato di entrare nel mondo del cinema, frequentando la NY University Film School, dove Martin Scorsese è stato il suo insegnante. Stone ha raccontato di come Scorsese lo abbia guidato, consigliandolo di rendere il suo primo film il più personale possibile. Questa lezione ha avuto un impatto duraturo su Stone, che ha realizzato il suo primo cortometraggio, “Last Year in Vietnam”, ispirato alla sua esperienza come veterano. Scorsese, dopo averlo visto, gli ha detto: “è nato un regista”, un momento di grande soddisfazione che, tuttavia, ha anche portato a una certa arroganza da parte di Stone.
Negli anni ’70, in un periodo influenzato dalla Nouvelle Vague, Stone aspirava a emulare Jean-Luc Godard, cercando di realizzare film in bianco e nero ricchi di innovazione e creatività. Tuttavia, la strada verso il successo non è stata priva di ostacoli. Ha affrontato una serie di insuccessi, scrivendo sceneggiature per altri senza riuscire a dirigere il suo primo film. La frustrazione era palpabile. Durante la ricerca per un trattamento sul rapimento dell’ereditiera Patricia Hearst, Stone si è immerso nella complessità della vicenda, scoprendo l’interferenza del governo, un tema ricorrente nel suo lavoro che ha aperto la strada a uno stile cinematografico più investigativo.
La sua perseveranza ha finalmente dato i suoi frutti con “Salvador”, un film realizzato con un budget limitato, che non ha riscosso il successo sperato. Tuttavia, il suo vero punto di svolta è arrivato con “Platoon”, un’opera che ha riscosso un vasto consenso di critica e pubblico, consacrando Stone come uno dei registi più importanti della sua generazione.
Progetti futuri e riflessioni sulla politica
Riguardo al suo futuro cinematografico, Stone ha rivelato di essere al lavoro su nuovi progetti, sebbene non abbia voluto anticipare dettagli specifici per timore che possano essere copiati. Ha anche menzionato la scrittura della seconda parte della sua autobiografia, che si concentrerà sui suoi secondi quarant’anni di vita, condividendo aneddoti e insegnamenti tratti dai suoi fallimenti e dalle sue esperienze nel mondo del cinema. Stone ha sottolineato che per fare questo mestiere è necessaria un’ossessione, una dedizione che ha guidato la sua carriera.
La politica, un tema sempre presente nelle opere di Stone, è emersa anche durante il suo intervento. Si è definito “anti-militarista da sempre”, e ha fatto riferimento alle relazioni complicate tra Stati Uniti e Russia, che ha sottolineato risalgono al 2000, ben prima dell’era Trump. Stone ha parlato anche del suo status di persona non grata nel suo paese, una condizione che ha vissuto con il titolo del suo documentario del 2003, “Persona non grata”, che affronta il conflitto israelo-palestinese attraverso interviste con leader come Yasser Arafat e Ehud Barak.
Con la sua autobiografia e nuovi progetti in cantiere, Oliver Stone continua a essere una voce importante nel panorama cinematografico, portando avanti una narrazione che non solo esplora la sua vita, ma riflette anche le dinamiche di una società in continua evoluzione. La sua passione per il cinema e il desiderio di raccontare storie significative rimangono inalterati, rendendolo uno dei registi più influenti e rispettati della sua epoca.