La crisi climatica ha spinto la Corte internazionale di giustizia a pronunciarsi sugli obblighi che gli stati devono rispettare per proteggere il clima e i diritti umani. Pur trattandosi di un parere consultivo, il documento ha un peso politico rilevante e definisce chiaramente responsabilità e doveri delle nazioni, riconoscendo i cambiamenti climatici come una minaccia che coinvolge le generazioni presenti e future.
Il percorso delle richieste verso la corte internazionale di giustizia
L’iter che ha portato alla pronuncia della Corte è iniziato nel 2019, quando un gruppo di 27 studenti di legge della università del Pacifico meridionale ha avviato una campagna per coinvolgere le istituzioni internazionali nella questione climatica. L’organizzazione formata, Pacific island students fighting climate change, ha stretto alleanze con altre realtà giovanili sparse nel mondo, raggruppate sotto il nome di World’s youth for climate justice.
Queste spinte dal basso hanno trovato sostegno politico nel governo di Vanuatu, uno stato insulare minacciato dall’innalzamento del livello del mare. Vanuatu ha assunto un ruolo guida per portare la questione all’attenzione dell’Onu. Il 29 marzo 2023, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che chiedeva alla Corte internazionale di giustizia un parere consultivo su due punti cruciali: gli obblighi degli stati nel ridurre le emissioni di gas serra e le implicazioni legali qualora una nazione danneggi l’ambiente climatico.
La responsabilità degli stati negli atti illeciti contro il clima
La pronuncia della Corte internazionale di giustizia individua chiaramente un “atto illecito” quando uno stato non adotta misure adeguate per proteggere il sistema climatico. Questo vale per azioni dirette come la produzione o il consumo di combustibili fossili, oltre che per concessioni e sovvenzioni che favoriscono tali combustibili. Il giudice Iwasawa Yuji ha spiegato che queste condotte possono configurare una violazione a livello internazionale imputabile allo stato interessato.
Inoltre, la Corte stabilisce che gli stati responsabili devono risarcire i danni, se il ripristino della situazione precedente non è possibile. Fra le riparazioni indicate ci sono la sospensione delle attività dannose, il pagamento di compensazioni economiche e la riduzione immediata delle emissioni che eccedono i livelli di sicurezza raccomandati dagli esperti. La Corte si spinge oltre, suggerendo che la giustizia climatica debba includere misure a favore delle comunità più vulnerabili e proteggere gli interessi delle generazioni future.
Implicazioni e cambiamenti attesi dopo il parere della corte
Pur non essendo vincolante, il parere della Corte costituisce un riferimento autorevole per le azioni legali legate al clima, note come climate litigation. Evidenzia il legame fra diritto internazionale, protezione ambientale e diritti umani, richiamando i governi a intervenire per ridurre le emissioni e riparare i danni ambientali già arrecati.
Elisa Morgera, relatrice speciale dell’Onu su clima e diritti umani, ha sottolineato che l’affermazione del diritto a un ambiente pulito e sicuro è strettamente connessa al diritto alla vita e alla salute. Il pronunciamento della Corte indica chiaramente che chi inquina deve agire per eliminare gradualmente l’uso dei fossili e supportare le popolazioni colpite.
Anche Greenpeace International ha recepito la decisione come un punto di svolta: Danilo Garrido, consulente legale dell’organizzazione, ritiene che chiarire gli obblighi degli stati e le conseguenze in caso di violazione aprirà la strada a nuovi casi giudiziari e potrà garantire una maggiore tutela per i paesi che subiscono gli effetti peggiori della crisi climatica pur contribuendo meno all’inquinamento globale.