Una squadra di ricercatori delle università del Texas e del Nebraska-Lincoln ha sviluppato un tipo di calcestruzzo capace di riparare autonomamente crepe e fessure senza interventi esterni. Ispirandosi ai meccanismi naturali di funghi e licheni, i ricercatori hanno creato una miscela innovativa in cui sostanze autoriparanti sono integrate direttamente nel materiale, offrendo nuove possibilità per l’edilizia e la sicurezza delle costruzioni.
Le fragilità del calcestruzzo e la necessità di manutenzione
Il calcestruzzo resta il materiale da costruzione più diffuso a livello globale: impiegato per edifici, ponti, strade e infrastrutture, rappresenta la base della maggior parte delle strutture moderne. Tuttavia, nonostante la sua solidità iniziale, il tempo e le condizioni ambientali provocano la formazione di crepe, anche di dimensioni ridotte. Queste fessure, specialmente quelle nascoste all’interno, possono compromettere la stabilità della struttura, causando problemi di sicurezza spesso difficili da prevedere a occhio nudo.
Gli sbalzi di temperatura, il gelo, il disgelo, l’umidità e le infiltrazioni agiscono sul calcestruzzo indebolendolo progressivamente. Nel tempo, le microlesioni si trasformano in problemi strutturali non sempre riconoscibili prima che diventino gravi. Per questa ragione, la manutenzione delle strutture diventa indispensabile e richiede ispezioni frequenti e costosi interventi di riparazione. Tale attività coinvolge personale specializzato e un investimento notevole di risorse economiche e tecniche. Spesso, però, anche un monitoraggio attento può non intercettare le prime fessure.
Il limite delle soluzioni autoriparanti finora adottate
Negli ultimi trent’anni, molti ricercatori si sono concentrati sullo sviluppo di calcestruzzo in grado di autoripararsi, in genere tramite l’inserimento di microbi o agenti chimici in grado di produrre sostanze sigillanti. La dottoressa Congrui Grace Jin, del dipartimento di ingegneria tecnologica dell’università del Texas, ha evidenziato come nessuno degli approcci finora disponibili sia del tutto autonomo. Questi metodi richiedono infatti un apporto esterno di nutrienti o sostanze per mantenere attivi gli agenti autoriparanti nel tempo.
Il problema più evidente è che il calcestruzzo autoriparante tradizionale necessita di condizioni specifiche e di interventi successivi per attivare i processi di riparazione. Questo limita la sua applicazione su larga scala, in particolare in ambienti difficili o lontani dalla manutenzione ordinaria. Per esempio, in costruzioni remote o in strutture estese quali ponti o dighe, il raggiungimento tempestivo degli agenti riparatori risulta complicato.
La bioispirazione dai licheni per un materiale autorigenerante
Il punto di svolta arriva dai licheni, organismi costituiti da una simbiosi tra funghi e alghe o cianobatteri, capaci di sopravvivere in ambienti estremi e di mantenersi autonomi senza bisogno di input esterni. Grazie a questa naturale autosufficienza, i ricercatori hanno pensato di riprodurre un meccanismo simile inserendo comunità di cianobatteri nella miscela di calcestruzzo. Questi microrganismi sfruttano l’energia solare, l’aria e l’acqua per produrre minerali in grado di sigillare le crepe.
I test in laboratorio hanno mostrato che queste comunità microbiche crescono e si attivano direttamente nella matrice del cemento, senza bisogno di nutrienti aggiuntivi. Le sostanze prodotte riempiono le fessure anche in condizioni difficili, tra cui ambienti chiusi o poco aerati tipici delle strutture in calcestruzzo. La capacità di auto-riparazione grazie alla fotosintesi dei cianobatteri si traduce in un processo naturale e continuo.
Impatti concreti per edilizia, infrastrutture e oltre
Questa scoperta apre un orizzonte nuovo alle tecniche di costruzione. Un calcestruzzo che si ripara da solo può ridurre i costi legati alle ispezioni e agli interventi di manutenzione, permettendo alle strutture di mantenere la loro integrità più a lungo. Sul piano della sicurezza, limitare la formazione di crepe riduce i rischi di cedimenti e guasti, con conseguenze dirette sulla protezione delle persone e della stessa infrastruttura.
L’applicabilità si estende anche a settori specifici come le costruzioni in ambienti estremi, dove la manutenzione tradizionale è complessa o impraticabile. Si pensa ad esempio a infrastrutture per l’ambiente spaziale, dove ogni intervento umano è complicato e costoso. Il cemento autoriparante bioinspirato potrebbe inoltre favorire un approccio più sostenibile riducendo sprechi e consumi di materiali.
Il cammino della ricerca andrà ora verificato su scala industriale, testando il comportamento di questo materiale in condizioni reali e continui cicli di stress ambientale. Il potenziale resta comunque significativo, aprendo la strada a un modello di costruzione in cui la natura stessa fa parte integrante del processo tecnologico.