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Il dna chiarisce la paternità di natalino mele, testimone del primo delitto del mostro di firenze nel 1968

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Il caso di Natalino Mele, ragazzino sopravvissuto al primo omicidio attribuito al cosiddetto mostro di Firenze, ha subito un nuovo sviluppo con un accertamento genetico. Nato nel 1962, Natalino è stato risparmiato durante l’agguato del 21 agosto 1968, quando una coppia fu assassinata nelle campagne di Castelletti di Signa. L’analisi del dna ha svelato che il suo padre biologico non è Stefano Mele, l’uomo legato alla donna uccisa quella sera, ma un’altra persona, con ripercussioni potenziali anche sull’inchiesta originaria.

Dettagli sull’accertamento genetico e risultati emersi

Nel 2025 la procura di Firenze ha disposto un test del dna su Natalino Mele per chiarire i legami parentali legati al contesto dell’omicidio del 1968. Secondo quanto riportato da la Nazione, il test, condotto dal genetista Ugo Ricci, ha escluso Stefano Mele come padre biologico. Al suo posto il dna ha indicato Giovanni Vinci, fratello maggiore di Francesco e Salvatore Vinci, entrambi indagati e poi prosciolti per legami con il caso del mostro di Firenze. Giovanni Vinci, tuttavia, non è mai stato oggetto di indagini e si è spento diversi anni fa, impedendo ogni tipo di dichiarazione o spiegazione riguardo le connessioni con Natalino.

L’esame è stato innescato nel 2018, quando le indagini sull’ex legionario di Prato Giampiero Vigilanti sono state avviate e poi archiviate. Questo elemento testimonia come clamore e misteri sul contorno degli omicidi continuino a rincorrersi anche dopo molti decenni. Non è ancora chiaro quali sviluppi legali o investigativi possano scaturire dal risultato genetico. La novità resta comunque un punto di svolta nel racconto dei fatti, a partire dal legame tra le vittime, i familiari e i possibili indiziati di quella stagione di terrore.

Il contesto del primo delitto e la sopravvivenza di natalino mele

Il 21 agosto 1968, nel cuore delle campagne di Castelletti di Signa, furono uccisi Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, in una vettura abbandonata. Barbara era legata a Stefano Mele, manovale e presunto padre di Natalino. Quella notte, il bambino di sei anni dormiva sul sedile posteriore della giulietta insieme a loro. Nonostante la violenza del duplice omicidio, Natalino non subì danni fatali. Scappò scalzo, spaventato, e percorse circa un chilometro nel buio per chiedere aiuto in una casa vicina.

La sua salvezza rappresenta da sempre uno degli enigmi più grandi della vicenda. Come mai fu risparmiato? Come fece un bambino così piccolo a raggiungere da solo un luogo sicuro in una zona rurale poco illuminata? Questi interrogativi hanno alimentato per decenni ipotesi e teorie sul modus operandi dell’assassino così come sull’esistenza di eventuali complici o conoscitori diretti della vittima e della famiglia Mele.

La sopravvivenza di Natalino ha permesso agli inquirenti di raccogliere una testimonianza viva dal luogo del delitto. Il suo racconto, però, è sempre rimasto confuso su alcuni dettagli, contribuendo a mantenere alta la tensione e la curiosità attorno al primo episodio che avrebbe dato il via alla serie di otto duplici omicidi imputati al mostro di Firenze.

Implicazioni dell’accertamento per l’inchiesta sul mostro di firenze

Il riconoscimento di Giovanni Vinci come padre naturale di Natalino presenta nuovi elementi per il filo investigativo sul mostro di Firenze. I fratelli Vinci sono stati coinvolti nella pista sarda degli omicidi, ma solo Francesco e Salvatore sono stati attenzionati direttamente prima di essere prosciolti. Giovanni, invece, non era mai stato considerato un sospetto.

Questa scoperta potrebbe suggerire nuove connessioni tra i personaggi all’epoca presenti nell’orbita degli indagati, portando a ipotizzare rapporti e situazioni ancora da chiarire. Rimane però un limite importante l’impossibilità di ascoltare Giovanni, deceduto tempo fa, oltre a questo, nessun legame diretto è stato finora emerso davanti agli inquirenti per definirne un coinvolgimento più concreto nelle dinamiche dei delitti.

Le autorità continueranno a valutare se l’esito del dna meriti approfondimenti o possa alimentare piste investigative secondarie. Intanto resta aperta la ricerca della verità su motivazioni e dettagli di uno dei primi episodi di cronaca più oscuri della Toscana moderna, un caso che ha segnato la storia della criminalità italiana nel suo sviluppo più tragico.

L’esame genetico è una tappa significativa, ma i nodi irrisolti restano molteplici e spinte verso nuovi accertamenti potrebbero emergere se si faranno luce su ulteriori indizi o testimonianze da rivedere in prospettiva.

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