L’industria italiana si muove sul fronte del recupero delle terre rare, risorsa diventata cruciale per la tecnologia e la green economy. Itelyum, gruppo attivo nel trattamento dei rifiuti e nel recupero di materiali, ha completato la fase pilota di un impianto nello stabilimento di Ceccano e prepara un investimento significativo per ampliare la capacità di trattamento. Il progetto, sostenuto da partner europei e riconosciuto come strategico dalla Commissione UE, punta a recuperare elementi come neodimio, praseodimio e disprosio da rifiuti elettronici professionali contenenti magneti permanenti. Al contempo, la società guarda anche al settore idrico, con recenti acquisizioni e l’aumento della capacità di depurazione in Italia.
Sviluppo e capacità del nuovo impianto per il recupero delle terre rare
L’impianto pilota inaugurato a settembre 2024 a Ceccano è stato progettato per lavorare 20 tonnellate di rifiuti contenenti magneti permanenti. Ora Itelyum si prepara a una fase di scale up che prevede un investimento di 8 milioni di euro, destinato a realizzare una linea operativa capace di trattare dai 10mila ai 15mila tonnellate annue di rifiuti elettronici professionali, con magneti integrati. Il processo idrometallurgico utilizzato permetterà di produrre ossidi di terre rare in una quantità compresa tra 150 e 500 tonnellate l’anno, recuperando così elementi fondamentali per la produzione tecnologica europea.
Collaborazione e riconoscimenti
Il progetto è stato sviluppato in collaborazione con il consorzio che include Erion, Eit RawMaterials, Glob Eco e l’università degli studi dell’Aquila. Questa alleanza rende il piano idoneo a ricevere finanziamenti europei e riconosce l’impianto come uno dei quattro italiani inseriti tra i 47 progetti strategici individuati sotto il Critical Raw Materials Act della Commissione Europea, norma entrata in vigore nel 2024. L’obiettivo è rafforzare le filiere interne per le materie prime critiche, diminuendo la dipendenza da fornitori al di fuori dell’Unione.
Le difficoltà legate alla filiera di approvvigionamento e alle autorizzazioni
Marco Codognola, amministratore delegato di Itelyum, ha evidenziato alcune complessità nel proseguire con la fase industriale. L’impianto pilota ha dimostrato la validità del processo elettrochimico con buone rese di recupero. Però, serve aggiungere investimenti soprattutto per migliorare il trattamento dei fumi e per preparare meglio il materiale in ingresso. Il vero nodo resta però sul fronte delle materie prime. La rete di approvvigionamento, soprattutto tramite il consorzio Erion, non riesce a garantire una quantità sufficiente di magneti permanenti o rifiuti simili.
Spesso chi possiede questi rifiuti li smonta per venderli a mercati esteri o li avvia a sistemi di recupero poco selettivi, senza estrarre le terre rare. Senza una filiera organizzata, secondo Codognola, è difficile alimentare impianti strategici come quello di Ceccano. Inoltre manca una regolamentazione efficiente che incentivi prioritariamente il recupero rispetto ad altre pratiche commerciali. Anche l’iter autorizzativo rappresenta un ostacolo. Attualmente l’azienda sta completando la pratica per modificare l’autorizzazione integrata ambientale , necessaria per la scala industriale. La speranza è che il ministero dell’Ambiente prenda in carico direttamente la pratica, riducendo i tempi rispetto ai due anni di una precedente autorizzazione.
Ruolo delle istituzioni
Il coinvolgimento diretto dei ministeri, Infrastrutture e Transizione Ecologica in particolare, appare fondamentale per promuovere norme e procedure che facilitino il reperimento dei rifiuti e snelliscano il rilascio delle autorizzazioni, elementi indispensabili per partire con l’operatività su larga scala entro i primi mesi del 2026.
Itelyum guarda al settore idrico con nuove acquisizioni e aumento della capacità di depurazione
Parallelamente al progetto sul recupero delle terre rare, Itelyum sta rafforzando la presenza nel trattamento delle acque industriali. Nel 2025, il gruppo ha annunciato l’acquisizione di due società attive nel settore idrico. A marzo ha comprato la bresciana Specialacque, mentre a giugno ha rilevato la Gsa di Civita Castellana, azienda che gestisce depurazioni di oltre 135mila tonnellate di acque provenienti in buona parte dal comparto farmaceutico del Lazio.
Aumenti di capacità e obiettivi futuri
Questi investimenti hanno portato la capacità complessiva del gruppo a 600mila metri cubi annui di acque trattate, con l’obiettivo di toccare gli 800mila metri cubi a breve, grazie alla ristrutturazione di un impianto a Calderara di Reno . Quando l’autorizzazione prevista arriverà, anche la struttura nella raffineria di Pieve di Fissiraga potrà depurare acque di terzi, spingendo ulteriormente la soglia produttiva verso il milione di metri cubi annui.
Il gruppo conferma così un forte impegno nel settore ambientale affiancando diverse attività di recupero e trattamento. L’interesse per operazioni di M&A nel settore idrico resta elevato, in un contesto dove le normative spingono a una gestione sempre più attenta delle risorse idriche e dei rifiuti industriali.