L’intelligenza artificiale sta modificando profondamente il lavoro in molti settori, dall’aerospazio al retail, passando per tech, pharma e automotive. Le aziende si trovano infatti a dover affrontare cambiamenti nel modo di operare e nelle competenze richieste ai dipendenti. Un’indagine svolta da the adecco group, che ha coinvolto 2mila manager di 17 paesi e 13 settori, evidenzia quali sono gli effetti più evidenti e come le imprese stanno reagendo rispetto a queste trasformazioni. Le risposte dei leader aziendali riflettono una crescente consapevolezza ma anche molte difficoltà nell’elaborare strategie efficaci sull’uso dell’intelligenza artificiale.
I settori più colpiti dai cambiamenti portati dall’intelligenza artificiale
Il rapporto “business leaders 2025” mette in luce che la maggior parte dei manager si aspetta una ridefinizione dei ruoli dei lavoratori causata dall’intelligenza artificiale. Questa previsione è particolarmente forte in alcuni comparti. Il settore aerospaziale e della difesa registra la percentuale più alta di aziende che prevedono mutamenti significativi nei ruoli. Seguono, con numeri comunque elevati, il mondo tech e quello pharma/healthcare . Anche il settore automotive mostra aspettative simili , mentre retail e largo consumo si attestano al 52%. Questi dati indicano come in ambiti ad alta tecnologia o che coinvolgono processi produttivi complessi e interazioni con il cliente, l’impatto dell’intelligenza artificiale sulle mansioni si farà sentire in modo marcato.
Un cambiamento nelle mansioni operative e strategiche
L’intelligenza artificiale modifica non solo le mansioni ripetitive ma anche quelle strategiche che richiedono capacità analitiche e di decisione. Nei comparti indicati, la combinazione fra automazione e nuove tecnologie richiede che i lavoratori si aggiornino e acquisiscano competenze diverse rispetto al passato. Queste trasformazioni condizionano l’organizzazione del lavoro, la distribuzione delle responsabilità e la formazione interna. Ciò rende evidente che il mercato del lavoro sarà sempre più modellato dalle innovazioni tecnologiche, con un impatto che travalica i confini nazionali e interessa settori diversi.
Le aziende italiane e la carenza di strategie chiare sull’intelligenza artificiale
Anche se la maggioranza dei manager riconosce che i lavoratori dovranno evolvere per adattarsi all’intelligenza artificiale, molte aziende non hanno ancora definito una strategia per affrontare questa sfida. In Italia, il 27% delle imprese ammette di non avere un piano chiaro sul ruolo dell’IA in azienda, una quota più bassa rispetto alla media globale che arriva al 34%. Tuttavia in altri settori, come energy e utility e beni di largo consumo , la mancanza di politiche precise sull’intelligenza artificiale raggiunge percentuali superiori alla media.
Roberto Pancaldi, vicepresidente HR di the adecco group italy, sottolinea la differenza fra consapevolezza e attuazione pratica: “se da un lato i leader riconoscono la necessità di adattamento, dall’altro faticano a realizzare piani concreti per integrare l’IA e gestire gli effetti sui lavoratori.” Il nodo principale resta la formazione e la creazione di una cultura aziendale che punti allo sviluppo continuo delle competenze, senza la quale il divario fra domanda e offerta di skill rischia di allargarsi. A questo proposito, le imprese devono intensificare gli investimenti, per evitare che il mercato del lavoro resti impreparato al mutamento tecnologico.
La formazione come leva strategica
L’investimento italiano nello sviluppo delle competenze tecniche
In mezzo a questo scenario globale, Italia si distingue per l’attenzione posta sugli strumenti per valutare e colmare il gap di competenze. Il 45% delle aziende italiane dichiara di impegnarsi nell’uso di soluzioni di analisi dati per seguire le esigenze formative interne contro un 33% medio internazionale. Si tratta di un segnale che dimostra come molte imprese nel nostro Paese stiano adottando un approccio pragmatico nel cercare di mantenere aggiornate le capacità dei propri dipendenti.
I settori che guidano questo sforzo a livello globale sono commercio e largo consumo, con il 41% delle aziende che investono in strumenti tecnici. Automotive e energy mostrano invece percentuali più basse, rispettivamente al 33% e 28%. Questi dati evidenziano come la diffusione degli investimenti per lo sviluppo delle competenze via dati e analisi segua una distribuzione diversificata, legata alla tipologia di attività svolta. L’uso di dati per identificare lacune formative può aiutare i datori di lavoro a gestire meglio la transizione digitale e ridurre il rischio di carenza di professionalità adeguate.
Un segnale importante per il futuro
L’attenzione agli strumenti tecnologici per l’analisi e alla formazione indica una strada possibile per prepararsi ai cambiamenti indotti dall’intelligenza artificiale. Resta però da capire quanto queste pratiche diventeranno prassi consolidate e capillari in tutti i comparti produttivi e come le risorse umane sapranno adattarsi al nuovo scenario tecnologico in evoluzione.