Un italo-argentino è tra i migranti rinchiusi nel centro di detenzione per immigrati in Florida noto come ‘Alligator Alcatraz‘, chiamato così per le paludi che lo circondano, piene di coccodrilli e pitoni. Il Tampa Bay Times ha raccolto testimonianze telefoniche da sette detenuti e familiari che denunciano condizioni dure e trattamenti disumani all’interno della struttura.
Testimonianze e condizioni all’interno del centro
Le testimonianze raccolte dal Tampa Bay Times parlano di una struttura lontana da ogni standard di umanità. I detenuti descrivono sporcizia, condizioni igieniche scadenti e una sorveglianza costante che alimenta la tensione tra le persone rinchiuse. Le paludi che circondano il centro ospitano animali pericolosi come coccodrilli e pitoni, un dettaglio che contribuisce a far sentire i prigionieri isolati e minacciati.
Inoltre, chi ha parlato al giornale ha fatto riferimento ai lunghi periodi di detenzione senza risposte chiare sul proprio futuro legale. Le restrizioni all’interno della struttura limitano ogni tipo di libertà personale e aggravano lo stato psicologico dei detenuti. Questi racconti rafforzano l’immagine di un sistema di detenzione duro e poco trasparente.
L’esperienza di Fernando Eduardo Artese
Fernando Eduardo Artese ha 63 anni ed è cittadino italiano e argentino. È stato arrestato a fine giugno mentre tentava di lasciare gli Stati Uniti per rientrare in Argentina. La sua presenza nel centro di detenzione Alligator Alcatraz è emersa attraverso le interviste raccolte dal Tampa Bay Times. Artese ha definito l’esperienza nel centro come “un vero e proprio campo di concentramento”, sottolineando che i detenuti vengono trattati come criminali e sottoposti a umiliazioni continue.
Artese ha raccontato che tutti i detenuti si considerano persone che lavorano e lottano per le proprie famiglie e che questa situazione è lontana da un trattamento dignitoso. La sua storia è significativa perché dimostra come cittadini con doppio passaporto possano finire in strutture molto dure a causa di vicende burocratiche.
La storia personale di Artese e le circostanze dell’arresto
Artese è entrato negli Stati Uniti quasi dieci anni fa passando dalla Spagna con un passaporto italiano, sfruttando un programma che consente di soggiornare senza visto per 90 giorni. Dopo aver superato questo tempo, ha continuato a restare illegalmente nel paese. La famiglia di Artese lo ha seguito nel 2018: sua moglie ha un visto per studenti e sua figlia 19enne è arrivata regolarmente negli Stati Uniti.
Il 25 giugno scorso la polizia lo ha fermato per un controllo, scoprendo un mandato d’arresto per non essersi presentato a una udienza di marzo, legata a una multa per guida senza patente. La famiglia sostiene che Artese evitò l’udienza proprio per paura di essere fermato dalle autorità. Sei giorni dopo l’arresto, è stato consegnato all’U.S. Immigration and Customs Enforcement e trasferito all’Alligator Alcatraz.
Difficoltà per la famiglia di Artese
La famiglia di Fernando Eduardo Artese è rimasta profondamente segnata dalla situazione. Sua moglie e sua figlia vivono negli Stati Uniti regolarmente ma si trovano in difficoltà nel sostenere un congiunto rinchiuso in un luogo tanto isolato e lontano. Mancano comunicazioni chiare e la burocrazia complica ulteriormente ogni tentativo di assistenza legale o umanitaria.
Il caso di Artese mostra come anche cittadini con doppio passaporto e radici consolidate possano trovarsi imprigionati in un sistema di detenzione che non offre certezze né condizioni umane accettabili. I familiari sottolineano la pressione e lo stress emotivo causati da questa esperienza.
Critiche al sistema di detenzione ICE
Le denunce raccolte dal Tampa Bay Times sono parte di un quadro più ampio che suscita attenzione sulle modalità con cui l’ICE gestisce i centri di detenzione. Gli eventi legati a Alligator Alcatraz mettono in discussione il trattamento riservato a migranti e rifugiati in situazioni di marginalità all’interno degli Usa.