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condanna a restituzione per vedova e figlie di carlo vanzina: 391.846 euro alla società di produzione

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La vicenda riguarda un debito contrattato dal regista Carlo Vanzina prima della sua morte, che ha coinvolto la vedova Elisabetta Melidoni e le loro figlie. Il tribunale di Roma ha stabilito il rimborso di una somma consistente alla società “International Video 80“, con conseguenze legali e contenziosi familiari. Questo caso intreccia aspetti di diritto civile e rapporti societari, segnando uno sviluppo importante nella gestione dell’eredità e delle quote azionarie.

I rapporti fra soci e le difficoltà nella conciliazione

Dopo il decesso di Carlo Vanzina, Enrico Vanzina, legale rappresentante di “International Video 80” e cognato della Melidoni, ha chiesto a lei e alle figlie di regolare i conti della società. Le quote societarie sono così divise: Elisabetta e le figlie detengono il 45%, Enrico il 40%. Questi equilibri interni sono diventati il fulcro del contenzioso.

Vari tentativi di conciliazione sono stati fatti, incluso l’intervento di un esperto, il professor Corrado Gatti, che riconobbe l’esistenza di un debito da parte degli eredi ma senza risolvere la disputa. A causa delle tensioni crescenti, Enrico ha intrapreso una causa civile nel 2020, puntando a recuperare le somme prestate, invocando il principio dell’«ingiustificato arricchimento».

Le difficoltà nel comporre una soluzione condivisa hanno complicato ulteriormente i rapporti familiari e imprenditoriali. L’aspetto societario ha inciso sulle modalità di restituzione delle somme e sulla gestione quotidiana di “International Video 80“, rendendo i dialoghi sempre più tesi e sfociati nel contenzioso pubblico.

Il debito contratto da carlo vanzina e la richiesta di restituzione

Dal 2016 fino al 2018, Carlo Vanzina aveva preso in prestito 391.846 euro dalla società “International Video 80“, per esigenze personali e familiari. Queste informazioni sono emerse nell’ambito della controversia scoppiata dopo la morte del regista il 8 luglio di sette anni fa. Il tribunale civile di Roma, con sentenza del 27 maggio scorso, ha deciso che la cifra, corredata da interessi e spese legali, deve essere restituita da Elisabetta Melidoni, vedova del regista, insieme alle figlie Isotta e Assia.

La somma accumulata deriva dai prelievi fatti da Vanzina negli anni indicati, come confermato da un consulente tecnico nominato dal tribunale. Nonostante Carlo avesse una quota di partecipazione nella società, quei prelievi sono stati ritenuti non giustificati come spese aziendali. La società in questione ha quindi formalizzato la richiesta di rimborso nei confronti degli eredi, poiché i prestiti erano stati fatti non a nome personale, ma come utilizzo dei fondi aziendali.

Le contestazioni della difesa e la valutazione del tribunale

La difesa di Elisabetta Melidoni, rappresentata dai suoi legali, ha messo in discussione la validità delle prove del debito. Ha ricordato che l’eredità è stata accettata con beneficio di inventario, limitando quindi la responsabilità patrimoniale degli eredi. Inoltre, ha sostenuto che Carlo Vanzina aveva in più occasioni apportato risorse proprie per finanziare la società, contraddicendo la versione dell’utilizzo illecito dei fondi.

La difesa ha sollevato dubbi sulla autenticità di alcune firme attribuite al regista, elemento che avrebbe potuto invalidare parte della documentazione a sostegno della richiesta di rimborso. Queste contestazioni però non hanno convinto il tribunale, che ha confermato con un consulente tecnico d’ufficio l’esistenza del debito e la legittimità della somma richiesta.

Il consulente ha evidenziato che i prelievi di denaro effettuati da Carlo Vanzina sono stati registrati ripetutamente, non rappresentando quindi un errore contabile ma un comportamento effettivo, la cui restituzione spetta agli eredi in quanto destinatari dei fondi.

Il procedimento parallelo per tentata truffa e la sua archiviazione

Mentre proseguiva il processo civile, Elisabetta Melidoni ha denunciato Enrico Vanzina per tentata truffa riguardo la somma oggetto del contendere. La denuncia aveva alimentato un secondo fronte giudiziario, con implicazioni penali per Enrico.

La procura di Roma, però, ha richiesto l’archiviazione della posizione di Enrico, ritenendo insufficienti le prove per confermare l’accusa di tentata truffa. Il giudice per le indagini preliminari ha deciso di archiviare definitivamente il procedimento, estromettendo così la causa penale da questa controversia.

Questo sviluppo ha tolto ulteriore complessità al caso, limitando le questioni alla sfera civile e consolidando la sentenza di restituzione decretata dal tribunale.

La vicenda rimane quindi un esempio di conflitto tra eredi e soci legato alla gestione di una società familiare e ai prestiti effettuati poco prima della morte del fondatore. La sentenza del tribunale pone un punto fermo sul diritto della società a riavere le somme prestate, mentre le tensioni personali emergono nelle denunce e nelle polemiche giudiziarie.

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