Un imprenditore di Padova è finito ai domiciliari nell’ambito di un’inchiesta della Guardia di finanza di Treviso. L’indagine punta a un gruppo che avrebbe usato società come prestanome per acquisire aziende, svuotarne i beni e portarle al fallimento. Dietro a questa attività, emergeva un meccanismo volto a finanziare altre imprese e a garantire guadagni personali agli indagati.
Il meccanismo delle acquisizioni e svuotamento dei patrimoni societari
Le investigazioni della Guardia di finanza hanno rivelato che il gruppo, capeggiato dall’imprenditore arrestato, acquisiva imprese per poi depredarne i patrimoni. Quei beni sottratti alle società fallite venivano usati per comprare altre aziende, così da creare una catena di acquisizioni basata sullo svuotamento sistematico. Questa operazione permetteva di mantenere il ciclo e, contemporaneamente, generava profitti personali per i membri del gruppo.
Il sistema funzionava grazie a una rete di prestanome, undici persone al momento indagate, che prestavano il proprio nome per controllare formalmente le società. Le aziende, tuttavia, erano gestite in realtà dal promotore dell’associazione. Questo metodo ha consentito di occultare le reali operazioni, limitando i rischi di individuarne i responsabili.
Elusione di finanziamenti pubblici e gestione occulta di società trevigiane
Dalle indagini è emerso che l’imprenditore arrestato, che si autodefiniva “business angel” per imprese in difficoltà, conduceva di nascosto due società di Treviso facenti parte della sua rete. Queste società hanno ottenuto illegalmente circa 1,7 milioni di euro da Simest spa, i cui fondi pubblici erano destinati a favorire l’internazionalizzazione delle imprese.
La Guardia di finanza ha condotto controlli sulle aziende che avevano accesso a certi finanziamenti pubblici, individuando anomalie nelle due società sotto esame. In particolare, i contributi ottenuti per partecipare a fiere in Kuwait e Albania non sono mai stati impiegati per questi scopi, mentre i progetti finanziati non sono mai stati realizzati. Inoltre, i dati di bilancio presentati a supporto delle richieste di finanziamento erano falsificati.
I fondi pubblici, dunque, sono finiti a sostegno non delle attività imprenditoriali, bensì dell’arricchimento personale degli indagati e del sostegno alle successive acquisizioni di imprese. Tale gestione scorretta ha portato alla liquidazione giudiziale delle due società coinvolte.
Trasferimenti di denaro senza giustificazioni e uso di contratti fittizi
Tra il 2020 e il 2022, l’imprenditore arrestato, già noto per reati tributari, fallimentari e riciclaggio, ha trasferito denaro ad altre società del proprio gruppo senza cause economiche plausibili. Per dare una parvenza di legalità a questi movimenti, è stato creato un “contratto di rete” con finalità fittizie.
Secondo il contratto, le imprese avrebbero collaborato nei propri ambiti e scambiato informazioni o prestazioni di natura industriale e commerciale. In realtà, lo strumento serviva a giustificare il drenaggio di liquidità verso sei società del network. Nel complesso, sono stati spostati oltre 1,6 milioni di euro senza giustificazioni concrete, drenando risorse fondamentali.
Questi trasferimenti senza documentazione valida hanno rappresentato un altro elemento della frode messa a punto, utile a sostenere il ciclo di acquisizione e distruzione delle aziende. Le indagini fanno luce su un’anomala gestione finanziaria che ha danneggiato le società coinvolte e i creditori.
Le autorità continuano a sviluppare il caso per definire al meglio responsabilità e ammontare dei danni. La complessità della vicenda sottolinea le difficoltà a cui vanno incontro molte imprese di piccole e medie dimensioni, spesso soggette a operazioni di sfruttamento finanziario.