Il procedimento giudiziario sulla rivolta scoppiata l’8 marzo 2020 nel carcere di sant’anna a modena si è chiuso senza accuse nei confronti della polizia penitenziaria. Dopo quasi un anno di indagini supplementari, la procura ha confermato l’archiviazione del fascicolo che ipotizzava tortura e lesioni ai danni di una novantina di agenti, sulla scorta delle denunce presentate dai detenuti. La vicenda resta comunque al centro dell’attenzione, visto che i fatti portarono alla morte di nove detenuti e finirono davanti alla corte europea dei diritti dell’uomo.
Le indagini della procura di modena sulla sommossa nel carcere di sant’anna
La procura di modena, guidata dal procuratore luca masini, ha esaminato nel dettaglio le accuse mosse dai detenuti contro il personale della polizia penitenziaria intervenuto durante la rivolta scoppiata nel marzo 2020. Il fascicolo, aperto per ipotesi di tortura e lesioni, riguardava una novantina di agenti, accusati di aver fatto ricorso a metodi violenti nella gestione della sommossa.
Dopo un primo diniego della gip carolina clò, che aveva respinto la richiesta di archiviazione concedendo sei mesi per approfondire le indagini, la procura ha riesaminato tutti gli elementi raccolti, arrivando a un provvedimento di quasi 400 pagine. Nel testo, viene dato molto risalto al fatto che i racconti dei detenuti denuncianti sono risultati largamente inattendibili, quando confrontati con le prove e le testimonianze disponibili.
Analisi delle prove e testimonianze
L’analisi complessiva degli accertamenti ha escluso la presenza di condotte punitive o tortura da parte degli agenti penitenziari. Non è stato possibile individuare un nesso diretto tra eventuali lesioni riscontrate sui detenuti e azioni specifiche della polizia, né comportamenti finalizzati a infliggere sofferenze acute o trattamenti degradanti.
Il contesto della sommossa e il ruolo della polizia penitenziaria
L’8 marzo 2020, all’inizio della pandemia, il carcere di sant’anna, a modena, ha vissuto una sommossa che ha portato a un controllo di fatto dell’istituto da parte dei detenuti per alcune ore. Questo episodio è stato uno dei tanti legati alle tensioni nate in seguito alle restrizioni imposte per il contenimento del covid-19.
Durante le operazioni di recupero del controllo e di ristabilimento della sicurezza, la polizia penitenziaria ha agito in un contesto estremamente complesso e delicato. La procura evidenzia che nonostante la gravità della situazione, nessun intervento si è tradotto in violazioni volontarie di diritti umani o in azioni mirate a infliggere dolore o maltrattamenti ai reclusi.
Il rapporto tra agenti e detenuti in carcere è da sempre fragile, ma in questa circostanza non sono emersi elementi concreti che colleghino l’azione degli agenti con lesioni o con trattamenti inumani. Da parte delle forze dell’ordine, la priorità era il ripristino delle condizioni minime di sicurezza a tutela di tutti.
La gestione della sommossa
La gestione dell’emergenza da parte della polizia penitenziaria si è svolta nel rispetto delle norme e con l’obiettivo di salvaguardare la sicurezza generale dell’istituto e dei suoi abitanti, sia detenuti che agente.
La vicenda dei nove detenuti deceduti e il ricorso alla corte europea dei diritti dell’uomo
La rivolta all’inizio della pandemia ha avuto conseguenze drammatiche con la morte di nove detenuti, evento che aveva originato un altro filone investigativo distinto da quello sulle presunte violenze della polizia penitenziaria. Quel procedimento si era chiuso con un’archiviazione, ritenendo insufficienti le prove per ipotizzare responsabilità penali specifiche.
Nonostante l’archiviazione, la questione è approdata davanti alla corte europea dei diritti dell’uomo, dove è attesa una valutazione indipendente sulla correttezza degli interventi e delle condizioni nelle carceri italiane nel periodo pandemico. Questa fase rappresenta un passaggio cruciale per definire eventuali responsabilità o carenze nella gestione delle strutture penitenziarie.
Le accuse più gravi e controverse, da parte dei detenuti e di alcune associazioni per i diritti umani, si riferiscono alle modalità con cui è stata affrontata la sommossa e alla mancata tutela della vita di chi era recluso in quella fase storica. Il giudizio definitivo di Bruxelles avrà un peso importante nel definire i contorni di questa vicenda.