La morte del giovane detenuto di 30 anni, avvenuta dopo un tentativo di suicidio nel carcere di Frosinone, riporta al centro l’emergenza condizioni di detenzione nelle strutture penitenziarie italiane. Il detenuto, tossicodipendente e con una condanna definitiva per reati minori, era arrivato a Frosinone da Rebibbia lo scorso dicembre. Il tema della solitudine in carcere e dei tassi di sovraffollamento emerge così con forza dalla vicenda.
Il tentativo di suicidio e le condizioni del detenuto
Il giovane, con un percorso segnato da tossicodipendenza e problemi legali, aveva cercato di togliersi la vita venerdì scorso all’interno del carcere di Frosinone. È stato soccorso immediatamente dagli operatori penitenziari e trasferito in ospedale, ma le sue condizioni erano già molto gravi. Nonostante le cure, è deceduto pochi giorni dopo. L’uomo, arrivato a dicembre da Rebibbia, viveva isolato, senza alcun contatto con l’esterno. Questa situazione di isolamento ha contributo a un deterioramento emotivo e psicologico che lo ha spinto a compiere un gesto estremo.
Evidenza sulle condizioni psichiche e sociali
Questo caso evidenzia una realtà comune nelle carceri italiane, dove spesso i detenuti con problemi di salute mentale e dipendenze si trovano senza un supporto adeguato. La mancanza di reti familiari o di riferimenti solidi fuori dalla detenzione aggrava il senso di abbandono. Non a caso, è proprio la solitudine uno dei fattori che più colpisce la salute mentale in carcere, come sottolineato da più osservatori e dal Garante delle persone sottoposte a misure restrittive nel Lazio.
Il ruolo del garante regionale e le criticità del sistema penitenziario
Stefano Anastasìa, Garante per i detenuti nella Regione Lazio, ha commentato la morte del giovane facendo emergere le criticità strutturali del sistema penitenziario. Secondo il garante, la solitudine uccide più dentro al carcere che fuori. Il carcere, spiega, non riesce a gestire un contesto in cui la giustizia penale si trova schiacciata dalla marginalità sociale più profonda. Serve un ripensamento sulle politiche pubbliche, che vadano oltre la mera repressione e affrontino i problemi sociali da cui scaturiscono molte delle situazioni di detenzione.
La morte del trentenne a Frosinone è il secondo suicidio nella stessa casa circondariale dopo quello di Andrea, 52 anni, avvenuto appena a febbraio. Era proprio il 19 febbraio quando Andrea si è tolto la vita mentre il garante era in visita insieme al personale sanitario e ai dirigenti della struttura. Anche allora, la drammaticità del momento ha toccato profondamente chi si occupa di vigilare sulle condizioni dei detenuti. Persone comuni, isolate, spesso non supportate a sufficienza, cui si aggiunge la pressione di un sistema carcerario sottodimensionato e sovraffollato.
I dati e le criticità recenti
Un rapporto di Ristretti Orizzonti documenta che nel 2025 i suicidi nelle carceri italiane hanno raggiunto 41 casi, a cui si aggiungono 33 decessi ancora sotto verifica. Il Lazio è una delle regioni in cui il fenomeno si fa più sentire, con quattro decessi da suicidio. Due si sono verificati proprio nel carcere di Frosinone, uno a Regina Coeli e uno a Rebibbia, quest’ultimo accaduto lo scorso aprile. Questi numeri rivelano una realtà preoccupante rispetto alla salute mentale e alle condizioni dei detenuti.
Frosinone, in particolare, affronta un problema di sovraffollamento. Al 14 luglio, la capienza regolamentare era di 517 posti, ma ne risultavano effettivamente disponibili 454, mentre i detenuti presenti erano 578, con un tasso di affollamento al 127%. Nel Lazio il dato più ampio segnala un sovraffollamento del 148% a fine giugno, mentre la media nazionale si attesta al 134%. Questi numeri confermano come molte carceri non dispongano di spazi adeguati per accogliere i detenuti, rendendo più difficile garantire condizioni umane e programmi di supporto.
Rischi relativi a struttura e affollamento
L’affollamento e la mancanza di strutture adeguate mettono a rischio la sicurezza e la salute dei detenuti. Le attività riabilitative e di sostegno difficilmente riescono a raggiungere tutti i soggetti coinvolti, aggravando così i rischi di crisi psicologica, come dimostrano purtroppo i casi di suicidio registrati. La situazione resta sotto osservazione, mentre le istituzioni sono chiamate a trovare soluzioni che non si limitino alla gestione emergenziale ma guardino a misure più strutturali e umane.