L’omicidio di due imprenditori catanesi del 31 ottobre 1990 torna al centro di un’inchiesta della Procura generale di Catania. L’attenzione si concentra su un presunto pagamento in nero di ingenti somme di denaro alla mafia e su un mediatore ritenuto chiave nelle trattative con Cosa nostra. Le indagini puntano a far luce sulle dinamiche che hanno colpito l’azienda Acciaierie Megara e i suoi proprietari, e sulle ripercussioni criminali nelle aziende che ne hanno preso il controllo negli anni successivi.
Il contesto del duplice omicidio: rovetta e vecchio uccisi per rifiuto di pagare il pizzo
Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio, due imprenditori con legami alla società Acciaierie Megara di Catania, sono stati assassinati il 31 ottobre 1990. La Procura generale attribuisce le responsabilità a esponenti mafiosi locali, stante che il movente sarebbe la loro opposizione a cedere al sistema delle estorsioni. Le vittime si sarebbero rifiutate di pagare il “pizzo”, ovvero la tangente imposta da Cosa nostra, creando così un contrasto che si è concluso con il loro assassinio. L’evento segnò un punto cruciale nelle pressioni criminali su imprese locali impegnate nel settore siderurgico.
Il cambiamento in azienda dopo l’omicidio
Dopo il delitto, la situazione in azienda cambiò drasticamente. I nuovi vertici decisero di abbandonare l’atteggiamento inflessibile dei predecessori e riformularono il rapporto con la mafia, accettando di corrispondere una somma rilevante. Questo passo segnò la formalizzazione di un pagamento in nero, frutto di conti ricavati fuori dai bilanci ufficiali, che avrebbe dovuto “placare” le richieste di Cosa nostra e garantire una tregua.
La mediazione di vincenzo vinciullo e il pagamento in nero alle cosche
Le somme pagate alla mafia, ammontanti a circa un miliardo di lire, sarebbero state veicolate attraverso una mediazione chiave. Secondo la Procura generale di Catania, Vincenzo Vinciullo, imprenditore messinese di 81 anni, ha avuto un ruolo centrale tra i manager delle Acciaierie Megara e i capi mafiosi delle province di Palermo, Caltanissetta e Catania. Vinciullo, che in passato lavorò come agente di commercio proprio per la società Megara, avrebbe agevolato le trattative con la mafia.
Un ruolo chiave nell’informativa “grande oriente”
Il suo nome emerge nell’ambito dell’informativa “Grande Oriente”, uno dei dossier più rilevanti delle forze dell’ordine sulle attività criminali della famiglia di Cosa nostra di Caltanissetta. Le indagini, avviate dalla DIA e dal ROS, si basano anche su dichiarazioni di un infiltrato, Luigi Ilardo, ucciso dalla mafia nel 1995. Questa fonte descriveva le dinamiche interne tra mafia e imprenditoria locale, mettendo in luce la figura di Vinciullo come interlocutore privilegiato.
Secondo l’accusa, Vinciullo avrebbe facilitato l’accordo che permise un pagamento iniziale, ma le estorsioni non si sarebbero fermate con quella somma, proseguendo per anni dopo il duplice omicidio. Le attività mafiose sarebbero state così radicate nei meccanismi gestionali di Acciaierie Megara, soprattutto sotto la gestione di Alfa Acciai, società bresciana subentrata nel pacchetto azionario dopo la morte di Rovetta.
L’evoluzione dell’inchiesta e le implicazioni giudiziarie a messina e catania
Il 9 gennaio 2025 la Procura generale di Catania ha deciso l’avocazione dell’inchiesta sull’omicidio Rovetta-Vecchio, passata inizialmente attraverso varie archiviazioni. Oggi, il fascicolo è coordinato dal procuratore generale Carmelo Zuccaro e dai sostituti Nicolò Marino e Giovannella Scaminaci, impegnati a ricostruire dettagli, coinvolgimenti e responsabilità sotto il profilo penale.
Nei giorni recenti, la Direzione investigativa antimafia e il nucleo di polizia giudiziaria della Procura di Catania eseguono perquisizioni nel Messinese, con particolare riferimento a Vincenzo Vinciullo. L’imprenditore è indagato per il ruolo di mediatore nelle estorsioni, ruolo che la Procura contesta in relazione specifica al passaggio dal mancato pagamento del pizzo alla successiva cessione di ingenti somme alla mafia. Il caso si inserisce in un contesto più ampio di lotta alle infiltrazioni mafiose nell’economia siciliana e rischia di aprire scenari mai approfonditi prima.
Elementi chiave nel fascicolo
Il fascicolo contiene anche elementi raccolti nella corrispondenza tramite “pizzini” di Bernardo Provenzano, capomafia che comunicava con i suoi affiliati per regolare le richieste estorsive. Attraverso la figura di Simone Castello, questi messaggi rivelavano le strategie e i nomi coinvolti, presentando un quadro d’indagine articolato e supportato da prove.
La vicenda resta quindi al centro di un importante processo investigativo che punta a esporre i meccanismi criminali che hanno condizionato la vita e il destino di importanti realtà imprenditoriali siciliane dal 1990 in poi. Il lavoro delle procure di Catania e Messina contribuisce a fare luce su episodi drammatici e a portare avanti la battaglia contro il potere mafioso nella regione.