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Omicidio di laura ziliani, cassazione conferma ergastolo per paola e silvia zani e mirto milani

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Quattro anni dopo la scomparsa di laura ziliani a temù, in vallecamonica, la giustizia ha pronunciato l’ultima parola. La corte di cassazione ha confermato il triplo ergastolo per paola e silvia zani, le due figlie della vittima, e per mirto milani, fidanzato della sorella maggiore. Quel caso, che aveva scosso l’opinione pubblica e mobilitato le forze dell’ordine locali, ruotava attorno a un omicidio denso di mistero, depistaggi e moventi legati all’eredità immobiliare. Ecco come si è sviluppata la vicenda.

La scomparsa di laura ziliani e i primi interrogativi

Il 2021 si apriva con la sparizione di laura ziliani, ex vigilessa a temù, trovata poi uccisa dopo un lungo periodo di ricerche. In quei giorni, paola e silvia zani apparivano in televisione, visibilmente provate, nel tentativo di chiedere aiuto per ritrovare la madre. Nel frattempo, mirto milani, fidanzato di paola, circostanziava spiegazioni poco credibili, suggerendo ai conoscenti che la donna avesse scelto di allontanarsi volontariamente, magari per trasferirsi all’estero.

Dietro a queste schermaglie, si nascondeva una realtà molto più cupa. Le indagini, avviate subito dopo la denuncia di scomparsa, indirizzarono i sospetti verso un gruppo ristretto. Come emerge dalle carte presentate ai giudici, le due sorelle insieme a milani formarono un “trio criminale” responsabile della morte di laura ziliani.

Modalità dell’omicidio e movente economico

L’omicidio avvenne l’8 maggio 2021, proprio nel giorno della festa della mamma. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti e confermato più volte dai giudici, la donna venne prima sedata con benzodiazepine in casa sua a temù. Poi, il soffocamento a mani nude pose fine alla sua vita.

Il corpo fu nascosto in una buca scavata nei pressi del fiume oglio, per tentare di nascondere le tracce. L’azione aveva un chiaro, cinico motivo: impossessarsi del patrimonio immobiliare lasciato in eredità dopo la vedovanza di laura. La violenza e la freddezza con cui fu consumato il delitto hanno colpito anche i magistrati coinvolti, che hanno descritto l’episodio come un atto premeditato senza rimorsi.

Il percorso giudiziario fino alla sentenza definitiva

Dall’arresto e dalla custodia cautelare del settembre 2021, è iniziato un iter giudiziario complesso. I legali di paola e silvia zani provarono a sostenere un’incapacità di intendere e volere collettiva, una linea difensiva che prevede un condizionamento psicologico all’interno del gruppo. Questa tesi era stata però respinta in tutti i precedenti gradi di giudizio.

In aula, l’avvocato piergiorgio vittorini, difensore della figlia di mezzo di laura, chiarì che “non esistono precedenti di assoluzione basati su incapacità di volere condivisa, neanche nei casi più drammatici della storia, come i processi ai nazisti.” La conferma definitiva della condanna da parte della cassazione chiude così una vicenda che ha messo in luce una dinamica familiare segnata da tensioni e ambizioni economiche.

Il ruolo decisivo dell’ex compagno di cella di mirto milani

Una svolta nelle indagini si ebbe grazie alla testimonianza di un detenuto che condivideva la cella con mirto milani nel carcere di canton mombello. Questi riuscì a guadagnare la fiducia di milani, inizialmente negatore di ogni coinvolgimento. Col tempo, ottenne dettagli cruciali sulle dinamiche della notte dell’omicidio.

Il detenuto redasse un memoriale scritto a mano che poi consegnò alla procura di brescia, diventato una prova schiacciante per incastrare milani e, di riflesso, paola e silvia. La sua scelta di collaborare con la giustizia ha cambiato il corso della vicenda. Lo stesso ha poi dichiarato di aver agito per senso civico e si è detto pronto a rifare la stessa scelta.

Questa testimonianza ha evitato che il caso rimanesse avvolto nel mistero e ha consentito di far emergere tutto ciò che accadde quel 8 maggio a temù. Oggi la corte di cassazione mette la parola fine a una delle pagine più dure della cronaca bresciana recente.

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