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Trieste, il quiz che inganna tutti: ecco cosa succede quando la logica va fuori binario

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il quiz che inganna tutti: ecco cosa succede -smetteredilavorare.it
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A Trieste uno youtuber ha posto un quesito apparentemente logico: “Perché il treno per Roma impiega 1h20 e al ritorno 80 minuti?”. Le risposte hanno svelato un cortocircuito diffuso nella comprensione del testo.

Nel centro di Trieste, una domanda all’apparenza semplice ha mandato nel pallone decine di ragazzi fermati per strada. «Perché il treno per Roma ci mette un’ora e venti e al ritorno 80 minuti?», chiede un giovane youtuber, innescando un corto circuito logico che ha fatto ridere l’Italia intera. La clip, diventata virale su Instagram, ripropone uno schema ricorrente: lo scivolone collettivo quando la domanda è formulata in modo subdolo, o quando le cifre mettono alla prova più il buon senso che la matematica.

La questione, in sé, non ha niente di tecnico: un’ora e venti minuti corrispondono esattamente a 80 minuti. Ma il modo in cui viene presentata — con quel “mentre” che insinua una contrapposizione — porta gli intervistati a dare per scontato che ci sia una differenza da spiegare. E allora partono le risposte improbabili: «Il treno all’andata andava in discesa», dice uno. «È colpa del ritardo di Trenitalia», azzarda un altro. «Ci sono più fermate». «Il binario era storto». E via dicendo. Il gioco di parole svela non tanto l’ignoranza matematica, ma il riflesso condizionato a cercare comunque una soluzione.

Il paradosso del treno e la fragilità del pensiero logico

Quello che sembra un semplice gioco diventa in realtà un esempio perfetto di come le persone affrontano le domande scolastiche e quotidiane con automatismi più che con logica. La questione posta nel video si basa su un trabocchetto linguistico: il tempo è identico, ma viene espresso in due forme diverse. È sufficiente per trarre in inganno. Un’ora e venti è una formula “oraria”, 80 minuti è una formula “numerica”, e questo basta a creare disorientamento.

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Un esperimento sociale a Trieste riaccende il dibattito su ragionamento – smetteredilavorare.it

Il successo del video dimostra quanto sia facile cadere nella trappola quando ci si concentra più sul trovare una risposta “ad effetto” che sul comprendere davvero la domanda. Un meccanismo simile si è osservato in contesti scolastici fin dagli anni ’80, con il celebre “problema del capitano”: «Su una nave ci sono 26 pecore e 10 capre; quanti anni ha il capitano?». In apparenza, un semplice quesito matematico. In realtà, un non-sense ideato da Gustave Flaubert, poi ripreso in esperimenti reali: la maggior parte degli alunni risponde 36, sommando le cifre fornite, senza chiedersi se l’informazione sia pertinente. L’effetto è lo stesso del treno triestino: una risposta forzata dove basterebbe ammettere che la domanda non ha senso.

Questi esperimenti svelano una fragilità più profonda: la tendenza a trattare qualunque domanda come risolvibile, anche se assurda. La scuola ha spesso abituato a “fare i conti” più che a ragionare. L’idea di fermarsi, riflettere o anche solo dire “questa domanda non ha senso” è vista come una sconfitta. In realtà, è proprio quel tipo di dubbio che segna un pensiero maturo.

Flaubert, Blues Brothers e il panico della risposta a tutti i costi

L’associazione ironica con i Blues Brothers, proposta nel video, rende l’assurdità ancora più evidente. Come nel film, dove Jack Belushi inanella scuse sempre più improbabili per giustificare il mancato arrivo al matrimonio, anche i passanti di Piazza Unità d’Italia sembrano pronti a tutto pur di non restare senza risposta. «Il treno era in discesa», «c’erano problemi sul binario», «era sera e c’era traffico ferroviario»… Ogni scusa, per quanto fantasiosa, viene detta con tono serio.

In questo contesto, la comicità diventa un riflesso del nostro modo di affrontare la realtà: trasformare ogni domanda in un problema da risolvere anche quando non c’è niente da risolvere. E il punto non è l’errore di calcolo, ma l’ansia del vuoto. Nessuno risponde: “Ma è la stessa cosa!”. Nessuno ride sulla banalità della domanda. Tutti si affannano a colmare un vuoto che in realtà è solo un gioco linguistico.

Lo stesso Flaubert, in una lettera alla sorella, aveva scritto un problema volutamente assurdo: una nave con un carico di barili d’indaco, l’albero maestro rotto, muschio a prua, vento da nord-est e 12 passeggeri… e poi la domanda: “Si chiede l’età del capitano”. Un invito a prendere le distanze dall’automatismo del calcolo.

A più di un secolo di distanza, non è cambiato molto. Che sia a scuola o in una piazza, di fronte a una domanda mal posta, il nostro primo impulso è comunque rispondere. Anche sbagliando.

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