Un’indagine condotta dalla polizia economico-finanziaria della guardia di finanza ha portato alla luce un sistema di false documentazioni usate per ottenere appalti pubblici. Nel mirino è finito un consorzio con sede a treviso, già destinatario di un’interdittiva antimafia. Le irregolarità riguardano lavori per un valore complessivo di 10,3 milioni di euro, con effettive conseguenze sul bilancio dello stato.
Il modus operandi del consorzio e la copertura delle imprese
Durante gli anni 2019 e 2020, il consorzio di treviso ha messo a disposizione le proprie certificazioni necessarie per partecipare alle gare pubbliche, pur senza coinvolgimento diretto nell’esecuzione dei lavori. In particolare, il consorzio ha agito come “impresa ausiliaria”, prestando i suoi requisiti a circa 40 società sparse sul territorio nazionale. Queste imprese hanno così potuto candidarsi e vincere appalti per lavori pubblici di vario genere, facendo leva sulle attestazioni di cui disponeva il consorzio.
Prestanome e facilitazione alle gare
È emerso però che, durante la fase operativa, il consorzio non ha mai effettivamente fornito né risorse né personale o mezzi materiali per lo svolgimento dei lavori. Si trattava di un prestanome, un facilitatore che ha permesso alle società aggiudicatarie di eludere i controlli sui requisiti di partecipazione imposti dalla normativa degli appalti pubblici. Per ciascun contratto vinto, il consorzio ha ricevuto un compenso pari al 3% del valore complessivo dell’appalto.
La segnalazione alle procure e le accuse rivolte agli indagati
Il rappresentante legale del consorzio e i titolari delle società coinvolte sono stati denunciati per turbata libertà degli incanti. La procura della repubblica è stata informata in 35 diverse sedi giudiziarie sul territorio nazionale, vista l’estensione delle attività irregolari. Le perquisizioni bancarie e le ispezioni sul posto, condotte dagli uomini della guardia di finanza di treviso, hanno permesso di raccogliere prove materiali e tracce dei flussi finanziari illeciti.
Irregolarità nei flussi finanziari
Tra gli elementi emersi, spicca il fatto che i compensi percepiti dal consorzio, superiori a 200mila euro complessivi, non sono stati reinvestiti nell’attività dichiarata. Al contrario, le somme sono finite a beneficio di società con sede in romania, collegate al titolare del consorzio. Su queste basi, quest’ultimo è stato iscritto nel registro degli indagati con una contestazione aggiuntiva per autoriciclaggio.
Il coinvolgimento della corte dei conti e il danno erariale
L’operazione della guardia di finanza si è conclusa con l’invio di un fascicolo anche alla corte dei conti, che ha aperto indagini su 99 persone fisiche. Gli approfondimenti sono stati disposti nelle 14 procure territorialmente competenti, segnalando un danno erariale quantificato in oltre 10 milioni di euro. Tale cifra corrisponde al valore complessivo degli appalti aggiudicati attraverso le false certificazioni del consorzio di treviso.
Indagini e possibili risarcimenti
La corte dei conti dovrebbe ora valutare eventuali responsabilità amministrative e patrimoniali nei confronti dei soggetti coinvolti, con possibili richieste di risarcimento per lo stato. L’inchiesta rappresenta un nuovo caso che conferma la necessità di sorveglianza più stringente sugli appalti pubblici e l’importanza dei controlli antimafia nella filiera delle forniture e servizi legati alla pubblica amministrazione.