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I manager italiani sotto la lente: metà dei lavoratori boccia i propri capi con voti insufficienti

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Negli ultimi mesi è emersa una netta insoddisfazione dei lavoratori italiani verso i loro manager. Secondo un’indagine condotta da Hays Italia, circa 500 lavoratori hanno espresso giudizi severi sulla classe dirigente, con metà del campione che assegna ai propri capi un voto inferiore alla sufficienza. Questo dato indica un divario significativo tra le aspettative dei lavoratori e la realtà quotidiana negli ambienti di lavoro. Vediamo nel dettaglio quali sono le caratteristiche del manager ideale secondo i dipendenti e quali criticità si riscontrano nella gestione delle persone.

Le aspettative dei lavoratori sul capo ideale

La ricerca Hays ha rilevato che i lavoratori desiderano manager che siano empatici, autorevoli e onesti. Per il 42% degli intervistati, l’empatia rappresenta il tratto più importante, seguita dall’autorevolezza e dall’onestà . Questi valori sottolineano come il ruolo del capo non si limiti solo al coordinamento delle attività ma comprenda anche la capacità di mettersi nei panni dei collaboratori e creare un clima di fiducia. Non a caso l’empatia viene vista come base per ascolto e supporto quotidiano. Il manager autorevole, invece, è sinonimo di chi guida con decisione e credibilità, mentre l’onestà è fondamentale per mantenere trasparenza nei rapporti.

Riflessioni sui giudizi negativi

Questi dati devono far riflettere, considerando che quasi metà dei lavoratori giudica negativamente il proprio capo in base a queste aspettative. Lo scarto tra il modello ideale e la realtà si traduce in insoddisfazione e demotivazione, spesso con conseguenze dirette sul rendimento e la stabilità delle carriere.

Criticità riscontrate nei manager attuali

I lavoratori descrivono i loro manager come poco chiari nelle comunicazioni e diffidenti . Queste qualità creano un ambiente di lavoro dove manca trasparenza e fiducia. La carenza di una guida chiara complica la comprensione degli obiettivi e limita la collaborazione tra team. Inoltre, il 26% sostiene che i manager non favoriscano la crescita professionale, impedendo ai lavoratori di acquisire nuove competenze o di avanzare nelle proprie attività.

L’egocentrismo come ostacolo

L’egocentrismo emerge come un altro punto debole: il 19% degli intervistati ritiene che i loro capi diano più importanza a se stessi che al gruppo di lavoro. Questo comportamento mina la coesione e riduce l’efficacia del team. In totale, almeno due lavoratori su tre hanno deciso di lasciare un impiego a causa delle difficoltà con i propri responsabili, un dato che conferma gli effetti negativi di una cattiva leadership.

Differenze di percezione per genere, età e dimensioni aziendali

Tra chi lavora, donne e uomini hanno visioni diverse della leadership: il 45% delle donne ha valutato positivamente almeno un manager nella propria carriera, mentre tra gli uomini la percentuale scende al 35%. Questo dato suggerisce che le donne percepiscono un migliore rapporto con i propri superiori o hanno aspettative differenti rispetto agli uomini.

Anche l’età influenza il giudizio: appena il 32% dei giovani sotto i 29 anni si sente limitato nella crescita dal proprio capo, ma la percentuale sale al 72% tra gli over 50. Ciò potrebbe indicare una maggiore difficoltà per chi ha più esperienza nel trovare stimoli o riconoscimenti per progredire.

Influsso della dimensione aziendale

Inoltre, le dimensioni dell’azienda giocano un ruolo nel percepito: il 58% dei dipendenti nelle grandi realtà ha sperimentato almeno un manager che rispecchiava le caratteristiche del capo ideale, a fronte del 47% nelle imprese più piccole. Questo risultato fa pensare che le strutture più grandi possano offrire una gestione più attenta o strumenti maggiori per la crescita.

Lo scarso ascolto e la limitazione della crescita professionale

Uno degli aspetti più critici evidenziati riguarda la mancanza di vero ascolto da parte dei manager. Il 60% dei lavoratori dichiara che i loro superiori non supportano lo sviluppo delle competenze o non creano un ambiente stimolante. Questo ostacola non solo l’apprendimento individuale ma anche l’apporto produttivo all’interno dell’azienda.

La situazione peggiora con l’età del dipendente: a salire è la percezione che i manager limitino la crescita, segnalando una frustrazione che si accumula negli anni. Manca un sistema efficace per valorizzare l’esperienza e per sostenere percorsi di formazione costante.

Questa mancanza di apertura riduce la motivazione e favorisce l’abbandono del lavoro, come confermato dai numeri sull’abbandono provocato da rapporti difficili con i capi.

La valorizzazione del pensiero critico fatica a emergere

Secondo molti lavoratori, i manager tendono a premiare chi segue rigidamente le regole o chi dimostra affinità personale con loro . Viene apprezzata anche la disponibilità continua, anche fuori orario . Molti lamentano che qualità come il pensiero critico e l’autonomia non ricevano riconoscimenti adeguati.

Questa dinamica genera un ambiente poco favorevole alla creatività e all’innovazione. Il disallineamento tra leadership e aspirazioni dei dipendenti può rallentare il progresso e ridurre la capacità dell’azienda di adattarsi ai cambiamenti.

Il commento di Alessio Campi

Alessio Campi, people&culture director di Hays Italia, sottolinea come mettere al centro le persone comporti formare manager capaci di coinvolgere davvero chi lavora, con strumenti concreti per alimentare la crescita. Le aziende che sapranno costruire relazioni positive e spazi di sviluppo saranno in grado di trattenere i propri talenti, evitando così la perdita di risorse preziose per il mercato del lavoro.

Questa indagine offre uno spaccato significativo sulla realtà delle imprese italiane nel 2025 e indica le sfide da affrontare per migliorare i rapporti tra chi dirige e chi esegue.

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