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Agente della polizia condannato a 16 anni per concorso esterno in associazione mafiosa a Napoli

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La quarta sezione penale del tribunale di Napoli ha emesso una sentenza importante contro un agente della Polizia di Stato ritenuto coinvolto in attività mafiose. Gianpaolo Chietti, già in servizio nel commissariato di San Giovanni-Barra, è stato giudicato colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata. Secondo l’accusa, avrebbe fornito informazioni riservate a più clan locali in cambio di denaro e orologi di marca. La vicenda solleva interrogativi sul rapporto tra forze dell’ordine e criminalità organizzata nella città campana.

Sentenza del tribunale di napoli e dettagli del procedimento

La condanna è arrivata dalla quarta sezione penale del tribunale di Napoli, presieduta dal giudice Paola Piccirillo. La pena inflitta a Gianpaolo Chietti è di sedici anni di reclusione, una decisione che segue la richiesta avanzata dalla procura di Napoli guidata dal pm Henry John Woodcock. Il procedimento ha analizzato il ruolo dell’agente come colluso con la camorra, in particolare con i clan Mazzarella, Formicola e Cuccaro. Tali organizzazioni avrebbero ricevuto da Chietti informazioni coperte da segreto, fondamentali per le loro attività criminali.

Gli avvocati della difesa, Antonio Sorbilli e Salvatore Impradice, avevano sostenuto la posizione del poliziotto in aula, ma le loro argomentazioni non hanno modificato l’esito. La sentenza conferma che il comportamento dell’imputato si è svolto durante il suo servizio nel commissariato di San Giovanni-Barra nell’area orientale di Napoli. La decisione ha chiarito responsabilità e natura delle condotte criminali contestate.

Le accuse e le testimonianze dei collaboratori di giustizia

Le prove a carico di Chietti si fondano anche sui racconti di diversi collaboratori di giustizia, che hanno riferito con precisione gli aiuti forniti dall’agente alla camorra. Questi testimoni hanno descritto come il poliziotto mettesse a disposizione informazioni riservate, utili a clan come i Mazzarella, Formicola e Cuccaro per mantenere un controllo più stretto sul territorio. Gli scambi illeciti prevedevano compensi economici e orologi di pregio, come i Rolex, consegnati all’imputato.

Il clima ricostruito durante le indagini mostra una complicità radicata nel commissariato, che avrebbe facilitato attività illegali di tipo mafioso. La figura di Chietti emerge così come un anello di congiunzione tra apparati di sicurezza e organizzazioni criminali, un legame sancito da frequenti contatti e accordi nascosti. Le deposizioni hanno confermato la continuità e la gravità di tali comportamenti.

La posizione dell’imputato durante il processo e gli sviluppi precedenti

Gianpaolo Chietti ha seguito gran parte delle udienze in tribunale, benché oggi non fosse presente al momento della sentenza. Inizialmente, dopo essere stato sottoposto agli arresti domiciliari, era stato rimesso in libertà a seguito di un ricorso accolto. Questo passaggio ha segnato una fase delicata del processo, con la difesa che ha tentato di arginare la pressione delle accuse.

Nonostante la revoca della detenzione cautelare, il procedimento ha continuato a fornire elementi per sostenere la tesi della Procura. La mancata partecipazione oggi dell’imputato non ha influito sulla decisione del collegio giudicante. Il processo dimostra la complessità e la durata degli accertamenti in casi che vedono coinvolti agenti delle forze dell’ordine in rapporti con ambienti criminali.

Le autorità giudiziarie continuano a monitorare i legami tra esponenti istituzionali e organizzazioni mafiose, come dimostra questa sentenza. La condanna di Chietti rappresenta un passaggio significativo nella lotta contro la camorra.

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