Simbolo del Capodanno in Giappone, il mochi provoca decine di soffocamenti l’anno: ecco cosa sapere.
Sembra innocuo, perfino tenero. Una pallina bianca, liscia, morbida, il cui aspetto rassicurante nasconde una minaccia ben nota ai giapponesi. Il mochi, dolce simbolo delle festività di Capodanno, è responsabile ogni anno di decine di morti per soffocamento. Soprattutto tra gli anziani, ma non solo. Ogni inizio anno, puntuali come un rituale, le autorità giapponesi rilasciano avvisi e raccomandazioni: “Tagliate il mochi in piccoli pezzi. Masticate bene. Non distrarsi”. Eppure gli incidenti si ripetono.
Mangiare il mochi non è solo un gesto gastronomico: è un rito culturale, intriso di simbolismo, storia e rischi concreti. Capirlo, e affrontarlo con consapevolezza, può fare la differenza tra un morso di dolcezza e un evento drammatico.
Come nasce il mochi e perché è così pericoloso
Il mochi si prepara con riso glutinoso, una varietà particolarmente ricca di amido, che una volta cotto e pestato in un mortaio, si trasforma in una pasta densa, viscosa e incredibilmente elastica. Questa consistenza, tanto apprezzata in Giappone, è esattamente ciò che lo rende insidioso per chi non è abituato.
Quando si mangia un mochi senza masticarlo a fondo, può attaccarsi al palato o alle vie respiratorie, impedendo il passaggio dell’aria. Non serve che sia grande: anche un boccone apparentemente piccolo può essere letale se va di traverso. In Giappone, i casi di soffocamento si concentrano ogni anno tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio, periodo in cui il mochi viene servito ovunque.

Le farciture variano: anko (crema di fagioli rossi), marmellata, matcha, o perfino gelato. Ma la struttura esterna resta la stessa: gommosa, appiccicosa, compatta. Alcune versioni moderne – ad esempio quelle surgelate – risultano più facili da masticare, ma il rischio non scompare.
Il mochi non è un alimento da mangiare con leggerezza. Richiede attenzione, calma e rispetto. In Giappone, ogni famiglia conosce le regole: pezzi piccoli, masticare bene, evitare di parlare mentre si mastica.
Perché il mochi continua a essere amato e dove trovarlo
Nonostante i pericoli, il mochi non smette di piacere. Il suo valore va ben oltre il gusto: è un simbolo di unione, di buona fortuna, un elemento identitario che accompagna generazioni. Rinunciarvi, per molti giapponesi, sarebbe come rinunciare al Natale o al panettone.
Il suo sapore è delicato, ma la vera particolarità sta nella texture. Una resistenza elastica, una dolcezza leggera, un’esperienza unica per il palato. Non è un dolce da mangiare distrattamente: è un prodotto che chiede presenza, lentezza, rispetto del ritmo.
In Giappone il mochi si trova ovunque, dai supermercati alle bancarelle festive. Costa circa 200 yen, poco più di un euro. In Italia è ormai disponibile in molti negozi etnici, nei ristoranti giapponesi o nelle pasticcerie orientali. Alcune varianti industriali sono più morbide, ma il vero mochi artigianale – quello che richiede pazienza, forza e mani infarinate di amido – resta una specialità da maneggiare con cura.
Se siete tentati di provarlo, ricordate: non è un gioco. È un dolce antico, nobile, ma potenzialmente pericoloso. E proprio per questo, affascinante.