L’ipotesi di una tregua di 60 giorni a Gaza resta incerta, dipendendo dalla decisione di Hamas. Nel frattempo, la Striscia subisce attacchi che provocano numerose vittime civili. In questo scenario difficile, il dialogo tra le parti cerca di sostenersi sulle condizioni avanzate dagli Stati Uniti, mentre sul terreno la violenza non accenna a diminuire.
La proposta di tregua americana e la posizione di hamas
La proposta americana di cessate il fuoco di 60 giorni ha riportato un minimo di movimento dopo settimane di stallo nel conflitto tra Israele e Hamas. Donald Trump ha annunciato il via libera israeliano a questa iniziativa, accompagnata dalla promessa statunitense di monitorare il rispetto dell’accordo anche dopo il periodo iniziale della tregua. Questo impegno avrebbe convinto almeno parzialmente Hamas a mostrare una cauta apertura al dialogo.
La leadership di Hamas, che controlla Gaza, ha fatto filtrare una dichiarazione di “soddisfazione” per l’offerta, ringraziando i mediatori coinvolti. Secondo media sauditi, la risposta ufficiale sarebbe attesa entro breve. Tuttavia, Hamas ha espresso riserve su alcuni punti chiave, in particolare riguardo all’ingresso degli aiuti umanitari e al ritiro delle forze israeliane . Questi elementi sono presenti nel piano statunitense ma senza indicazioni precise su tempistiche o dettagli operativi, lasciando incertezza sull’effettivo successo della promessa tregua.
Il tema dello scambio di prigionieri
Un altro aspetto importante riguarda lo scambio di prigionieri previsto dalla proposta. Il piano prevede il rilascio di dieci ostaggi ancora vivi e la restituzione di 18 corpi in cambio di un gruppo di detenuti palestinesi. Questa parte dell’accordo non sembra incontrare ostacoli. Rimane però la richiesta esplicita di Hamas per la fine del conflitto in corso, una condizione che pare difficile da realizzare senza una soluzione politica più ampia.
Il clima politico israeliano e l’attesa per l’incontro con trump
In Israele, nel frattempo, si registrano segnali di un moderato ottimismo riguardo alle possibilità di un’intesa. Il ministro dell’Energia Eli Cohen, parte del gabinetto di sicurezza, ha confermato la disponibilità a raggiungere un accordo. L’attenzione si concentra soprattutto sull’incontro previsto tra il premier Benyamin Netanyahu e Donald Trump presso la Casa Bianca, fissato per lunedì prossimo.
A spingere verso un accordo è anche la pressione proveniente dalle famiglie degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Per sostenere la causa del rilascio, hanno autorizzato la diffusione di un video di due ragazzi rapiti, chiedendo la liberazione immediata di tutti gli ostaggi, sia vivi che deceduti. Netanyahu ha tentato di mostrare vicinanza visitando il kibbutz Nir Oz, colpito dall’azione violenta del 7 ottobre, ma ha dovuto affrontare la contestazione di una parte della popolazione. All’interno del governo, l’ostruzionismo della componente ultradestra guidata da Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich continua a complicare le trattative con Hamas.
La crisi umanitaria a gaza e le continue violenze
Sul terreno, lo scenario resta drammatico. Gli attacchi israeliani non hanno subito rallentamenti e continuano a colpire obiettivi civili a Gaza. Negli ultimi giorni, almeno 17 persone sono state uccise in un raid su una scuola usata come rifugio per famiglie sfollate. Altri civili sono stati uccisi mentre attendevano in fila per ricevere aiuti alimentari. Secondo dati diffusi da Hamas, almeno 45 persone sono morte in queste circostanze.
La situazione umanitaria si aggrava sotto molteplici aspetti. Gaza affronta un caldo intenso e una grave carenza d’acqua, condizioni che peggiorano le difficoltà quotidiane degli abitanti. Per gestire gli aiuti, sono attivi centri di smistamento sorvegliati da contractor americani, ma l’Associated Press riporta testimonianze che denunciano errori nella gestione della sicurezza: munizioni vere, granate stordenti e personale non qualificato metterebbero a rischio la popolazione e il corretto funzionamento delle operazioni.
Controversie sull’uso di ordigni militari
Un altro elemento controverso riguarda l’uso di ordigni da parte dell’IDF. Il bombardamento di un internet café avrebbe coinvolto un ordigno Mk-82 da 230 chili, secondo le indagini sui detriti raccolti. I diritti umani definiscono quest’arma illegale, aggiungendo un’ulteriore ombra sulla condotta militare israeliana.
Il rapporto delle nazioni unite e le accuse alle aziende tecnologiche e militari
La difficile realtà di Gaza è stata portata all’attenzione delle Nazioni Unite a Ginevra, con una relazione della relatrice speciale Francesca Albanese sui diritti umani nei territori palestinesi occupati. Nel documento si punta il dito contro diverse aziende, sia produttrici di armi che giganti tecnologici come Lockheed Martin, Leonardo, Alphabet e Microsoft. Secondo la relatrice, queste imprese sarebbero coinvolte nel cosiddetto “progetto” israeliano di sfollamento e sostituzione della popolazione palestinese.
Il rapporto chiede agli Stati membri di imporre un embargo totale sulle armi a Israele e di sospendere ogni accordo commerciale finché questa situazione non verrà affrontata. Queste richieste rappresentano un appello forte per una più netta presa di posizione internazionale in risposta ai fatti dei territori occupati. Lo scenario internazionale continua a riflettere le tensioni e le divisioni nate dal conflitto ancora aperto.