Le temperature record che hanno colpito nel 2024 e 2025 vaste aree d’Europa e Stati Uniti hanno amplificato l’impatto delle ondate di calore sull’attività lavorativa e sull’economia. Studi recenti confermano come il riscaldamento globale stia già influenzando la produttività, con effetti soprattutto evidenti nei paesi più vulnerabili. La perdita di ore lavorative, conseguenza diretta di stress da caldo e condizioni ambientali estreme, pesa su interi settori e alimenta rischi economici che si protrarranno nei prossimi anni.
Gli ultimi dati forniti da Lancet Countdown mostrano un aumento consistente delle ore lavoro perse per via del caldo: nel 2021 si sono raggiunte 470 miliardi di ore, con un balzo del 37% rispetto agli anni Novanta. Questa crescita non è un fenomeno isolato, bensì il riflesso di un andamento climatico che già allora aveva iniziato a manifestare segnali preoccupanti. Lo stress termico limita la capacità lavorativa, soprattutto nelle attività manuali all’aperto, riducendo la quantità di lavoro effettivamente svolto e, di conseguenza, la produzione e il reddito associato.
Il meccanismo è semplice: con temperature che superano i 32°C, la capacità di lavoro fisico cala del 40%, fino a perdere quasi due terzi oltre i 38°C. La situazione impone quindi una doppia sfida per le economie globali. Da un lato, aumentano i giorni non produttivi o a produttività ridotta, dall’altro cresce la necessità di adattare orari, attività e strategie di prevenzione per limitare danni maggiori. Il dato cumulato della perdita oraria rappresenta una misura concreta di quanto la crisi climatica stia comprimendo la forza lavoro e l’efficienza economica in gran parte del mondo.
L’analisi di Allianz Trade mette in evidenza come le ondate di calore abbiano effetti diversificati sui diversi comparti produttivi. La manifattura e i servizi, soprattutto quelli svolti in ambienti climatizzati, possono recuperare rapidamente parte delle ore lavorative perse. Diversa è la condizione in agricoltura, dove lo stress da caldo si ripercuote su raccolti, salute delle piante e capacità produttiva per periodi molto più lunghi. Nel settore infrastrutturale, danni causati da incendi e siccità contribuiscono a perdite prolungate che rallentano la ripresa economica locale.
Le proiezioni parlano chiaro. Nel 2025 l’economia europea potrebbe vedere contrarsi il PIL di mezzo punto percentuale, mentre a livello globale la riduzione stimata arriva a poco più dello 0,5%. Per l’Italia il colpo è più forte, con stime di perdita pari all’1,2%. Francia e Germania, benché più resilienti, non sfuggono a questa tendenza, con cali rispettivamente dello 0,3 e dello 0,1%. Questi dati indicano come le conseguenze delle ondate di calore si ripercuotano non solo sui singoli lavoratori ma sull’andamento complessivo delle economie nazionali.
Il cambiamento climatico accentua le disuguaglianze globali, con i paesi meno sviluppati che subiscono effetti più gravi. Le ondate di calore, oltre a minacciare la produttività, riducono la sicurezza alimentare e favoriscono l’aumento degli incendi boschivi e della siccità. Le economie meno diversificate soffrono maggiormente, anche perché dispongono di risorse limitate per intervenire e adattarsi. L’impatto su salute, agricoltura e ambiente si traduce in crisi sociali e in un aumento delle vittime legate agli eventi estremi.
Gli aiuti allo sviluppo forniti dopo calamità di carattere climatico producono trasferimenti finanziari significativi, ma solo a breve termine e senza risolvere le cause profonde. La dipendenza da sostegni esterni non elimina, anzi può accentuare la vulnerabilità nel lungo periodo, esponendo queste popolazioni a maggiori rischi di povertà e instabilità. La gestione di eventi contingenti come caldo estremo richiede quindi anche misure strutturali che rinforzino capacità di risposta e sostenibilità economica nei territori più fragili.
Le ondate di calore hanno frequenza e intensità in crescita, ma presentano una caratteristica importante: la loro prevedibilità. Questa possibilità offre una leva concreta per ridurre i danni economici e sociali. Previsioni affidabili consentono alle imprese e ai lavoratori di organizzare pause, modificare orari o spostare alcune attività, evitando esposizioni prolungate allo stress da caldo. Per la politica, significa rimodulare piani di protezione civile, fornire adeguati strumenti di prevenzione e adattare le infrastrutture.
Tra i consigli pratici vi è la promozione di norme più snelle per sospendere il lavoro nelle ore più calde, installare sistemi di raffreddamento o ombreggiature nei luoghi di lavoro e monitorare costantemente le condizioni climatiche. La capacità di anticipare momenti critici offre un margine per limitare le perdite di produttività e salvaguardare la salute dei lavoratori. Di certo, l’adattamento è una necessità che si riduce in urgenza, dati i livelli di temperatura già registrati e quelli previsti nel prossimo futuro.
Jasmin Gröschl, economista di Allianz Trade, ha sottolineato come le ondate di calore abbiano effetti che vanno oltre il semplice disagio temporaneo. La sua descrizione sottolinea l’entità dei danni: “una giornata con temperature oltre i 32 gradi comporta una riduzione dell’attività pari a mezza giornata di sciopero.” Questo fenomeno, ripetuto su larga scala durante tutta la stagione calda, traduce in perdite economiche che diventano difficili da recuperare.
L’economia deve riconoscere che, ai frequenti eventi di caldo estremo, segue una perdita di ore lavorative significativa e un calo di produzione. Nel tempo, questo determina un rallentamento dei tassi di crescita. Le ondate di calore non danno tregua e impongono una riorganizzazione dei modelli economici, per evitare che i danni diventino irreversibili. “Il cambiamento climatico non è più un rischio futuro: è una sfida attuale con cui aziende, istituzioni e lavoratori devono fare i conti ogni giorno.”