
Un delitto agghiacciante a Paderno: condanna a 20 anni per il giovane assassino e le rivelazioni della perizia psichiatrica
La tragica storia di Riccardo Chiarioni ha profondamente scosso l’opinione pubblica italiana, suscitando un acceso dibattito sulla giustizia e sulla salute mentale. Nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024, quando aveva appena 17 anni, Chiarioni ha commesso un omicidio efferato all’interno della sua abitazione a Paderno Dugnano, un comune della provincia di Milano. Con 108 coltellate, ha ucciso i suoi genitori e il fratellino di 12 anni. Ora, dopo un processo abbreviato, è stato condannato a vent’anni di reclusione, la pena massima prevista per i minorenni in Italia.
La decisione del tribunale per i minorenni
Il Tribunale per i minorenni di Milano ha preso questa decisione, ritenendo che non ci fossero elementi sufficienti per riconoscere un vizio parziale di mente, nonostante una perizia psichiatrica avesse evidenziato condizioni psichiche delicate. Riccardo, ora maggiorenne, è assistito dal legale Amedeo Rizza, il quale ha espresso la sua intenzione di ricorrere in Appello, ritenendo la sentenza eccessivamente severa. Rizza ha affermato che la gravità del reato non è in discussione, ma ha messo in evidenza le attenuanti generiche che dovrebbero essere considerate nel processo. «Quando è uscito dall’aula e ha visto i parenti, è crollato», ha dichiarato l’avvocato, evidenziando lo stato emotivo del giovane dopo la lettura della sentenza.
Gli elementi dell’omicidio
Le indagini condotte dalla Procura hanno descritto l’omicidio come un atto di omicidio volontario, aggravato da elementi come la premeditazione. Secondo l’accusa, il giovane avrebbe agito con lucida intenzione, nonostante il parere dello psichiatra Franco Martelli, il quale ha redatto una perizia in data 14 marzo 2024. Nella perizia, Martelli ha evidenziato come Chiarioni vivesse in una dimensione tra realtà e fantasia, cercando di rifugiarsi in un mondo immaginario che lo portava a voler eliminare i suoi affetti più cari. Durante un interrogatorio, il ragazzo ha dichiarato: «Volevo essere immortale. Uccidendoli avrei potuto vivere in modo libero», rivelando uno stato mentale complesso e disturbato.
La questione della salute mentale
La Procura ha dunque chiesto la massima pena di 30 anni, che, considerando il rito abbreviato, sarebbe stata ridotta a 20 anni. Questo ha sollevato interrogativi sulla giustizia minorile in Italia e sull’efficacia del sistema di recupero per i giovani autori di reati gravi. La sentenza, sebbene abbia soddisfatto l’accusa, ha suscitato preoccupazioni per la mancanza di un riconoscimento del vizio parziale di mente, che avrebbe potuto influenzare in modo più significativo la pena inflitta.
Dall’altro lato, la difesa ha sostenuto che Chiarioni fosse completamente incapace di intendere e di volere al momento del delitto. Questa tesi è stata supportata da un perito di parte, Marco Mollica, che ha contribuito a delineare un quadro psicologico complesso del giovane. Rizza ha chiesto quindi il proscioglimento per il suo assistito, e nel caso non fosse accolto, ha richiesto che venisse tenuta in considerazione la semi-infermità mentale e le attenuanti generiche. La richiesta di cure specifiche per Chiarioni, già disposta dal tribunale, ha aperto un dibattito sul ruolo della riabilitazione psicologica per i minorenni che commettono reati gravi.
Questa tragica vicenda non rappresenta solo una tragedia personale, ma anche un campanello d’allarme per la società , che deve affrontare le sfide legate alla salute mentale e alla giustizia per i giovani. La condanna a vent’anni di reclusione per Riccardo Chiarioni, sebbene massima per un minorenne, solleva interrogativi su come il sistema giudiziario gestisca il delicato equilibrio tra giustizia e riabilitazione. È fondamentale che la società si interroghi su come affrontare queste problematiche in modo efficace e umano, garantendo giustizia alle vittime e supporto ai colpevoli, affinché non si ripetano tragedie simili.