
La procura della Corte penale internazionale ha formalmente contestato il governo italiano per aver ostacolato le procedure di consegna di Osama Almasri, ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli, accusato di crimini contro l’umanità. Il caso riguarda la gestione dell’arresto e successivo rilascio di Almasri a Torino, con l’accusa che l’Italia abbia impedito alla Corte di esercitare le sue funzioni. Il documento di 14 pagine firmato dal procuratore Nazhat Shameem Khan espone le irregolarità rilevate sulle azioni italiane e invita il Parlamento a un intervento formale.
La richiesta di estradizione dalla libia e la gestione italiana
Il nodo centrale della vicenda riguarda la tempistica e la gestione della richiesta di estradizione presentata dalla Libia il 20 gennaio 2025, appena due giorni dopo l’arresto di Almasri a Torino. La procura della Cpi sottolinea che tale richiesta è stata notificata all’Italia solo dopo il rilascio di Almasri, oltre tre mesi dopo quel momento. Nel fascicolo italiano non è presente alcun mandato d’arresto emesso dalle autorità libiche, elemento che complica la validità della richiesta.
La Corte precisa che al rientro in Libia, Almasri non è stato arrestato o estradato, ma liberato e accolto pubblicamente a Tripoli. Questo fatto suggerisce che il governo italiano abbia esercitato una discrezionalità indebita nel valutare l’estradizione. Secondo il procuratore Khan, invece, l’Italia avrebbe dovuto consultare la Corte penale internazionale prima di decidere come procedere, in base all’art. 97 dello Statuto Cpi. La mancata consultazione si configura come una grave violazione dei doveri internazionali assunti dall’Italia.
Il ruolo del ministro nordio nella mancata cooperazione
Nel documento della Cpi viene posto l’accento sul ruolo del ministro della giustizia, Carlo Nordio, indicato come unico destinatario delle richieste di cooperazione da parte della Corte. Dovrebbe quindi limitarsi a girare le richieste al Procuratore generale per l’esecuzione. La procura contesta le dichiarazioni di Nordio alla Camera, in cui aveva sollevato dubbi sulla datazione dei crimini contestati ad Almasri.
Il testo della Corte evidenzia che il mandato romano non lascia spazio a incertezze sull’epoca degli eventi, molti dei quali antecedenti al 2011 e quindi precedenti alla nascita del carcere di Mitiga. La Corte sostiene che l’Italia, con le sue argomentazioni, non ha fornito risposte legali o pratiche per giustificare il mancato aiuto nella consegna di Almasri.
Pressioni internazionali e richiesta di accertamento formale
La Procura della Cpi ha chiesto formalmente che il Parlamento italiano emetta un accertamento formale di inadempienza e che la questione sia sottoposta all’Assemblea degli Stati parti e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’accusa è di aver ostacolato la giustizia, sottraendo Almasri al processo per crimini contro l’umanità e di guerra.
Il rilascio di Almasri a Tripoli, ricevuto con bandiere e applausi, è visto come un episodio che mette in discussione l’imparzialità del governo italiano nel caso. Organizzazioni come Mediterranea hanno commentato l’accaduto sollecitando l’intervento del tribunale dei ministri di Roma per indagare su eventuali responsabilità penali di esponenti del governo, compresi i ministri Nordio e Piantedosi, il sottosegretario Mantovano e la presidente del Consiglio Meloni.
Implicazioni politiche e diritti umani nel contesto italo-libico
La pagina di Mediterranea denuncia che la protezione accordata ad Almasri rappresenta una violazione grave dei diritti umani, in particolare in relazione alle accuse di torture e crimini commessi nel carcere di Mitiga. Il movimento chiama il Parlamento a un confronto chiaro sul memorandum italo-libico, evidenziando i rischi connessi a quelle che definisce “alleanze criminali” che favoriscono violazioni sistematiche come respingimenti nel Mediterraneo e trattamenti disumani.
Secondo quanto sostenuto da Mediterranea, il caso Almasri va oltre la semplice inadempienza. Qui si inserisce la necessità di trasparenza e di una verifica approfondita dell’operato del governo nell’ambito delle relazioni con la Libia. L’invito è a interrompere pratiche che mettono a rischio la vita e la dignità delle persone migranti o detenute nei lager libici.
Il dossier della Corte penale internazionale arriva in un momento delicato nelle relazioni tra Italia e Libia e nel confronto pubblico su temi di diritto internazionale. Le prossime settimane saranno decisive per la risposta italiana a queste accuse formali.