
La questura di Udine ha concluso un’indagine che ha riguardato una rete di badanti provenienti dalla Georgia, accusate di soggiornare illegalmente in Italia. L’operazione, coordinata dalla Procura della Repubblica di Udine, ha portato all’arresto di sette donne e alla denuncia di altre 22, scoperte durante perquisizioni in varie province italiane. L’inchiesta ha evidenziato un sistema di falsificazione di documenti per aggirare le norme sull’immigrazione e l’accesso al lavoro.
Il contesto dell’indagine sulla falsa cittadinanza comunitaria delle badanti georgiane
Le indagini sono partite dopo che una cooperativa di assistenza domiciliare con sede a Udine ha segnalato una lista sospetta di donne che chiedevano lavoro come badanti. Queste donne, tutte cittadine georgiane tra i 24 e i 66 anni, avevano richiesto un impiego dichiarandosi cittadine di paesi comunitari, come Slovacchia, Polonia e Bulgaria, esibendo documenti di identità validi per viaggiare ma falsi. La presentazione di questi documenti ha permesso loro di ottenere il codice fiscale comunitario, elemento che consente l’accesso immediato al lavoro e ad alcune prestazioni sociali senza passare per le regole previste per gli extracomunitari.
Il meccanismo dei documenti falsificati
Utilizzando questi documenti falsificati, le badanti hanno inoltre potuto registrarsi nelle agenzie di collocamento e lavorare legalmente in Italia, evitando i controlli e le procedure di verifica previste per chi proviene da paesi extra UE. La truffa non riguardava solo il lavoro, ma anche l’accesso al sistema sanitario nazionale e a benefici fiscali, creando un vantaggio illegittimo rispetto a chi opera con documenti autentici.
Perquisizioni e arresti in diverse province italiane
La polizia ha eseguito perquisizioni coordinate in piĂą province, principalmente in Friuli Venezia Giulia ma anche in territori come Milano, Roma, Napoli, Bolzano e Firenze. Nel corso di queste operazioni sono stati sequestrati 21 documenti falsi, codici fiscali ma anche contratti di lavoro stipulati con documenti contraffatti. Sette donne sono state arrestate in flagranza di reato per possesso e fabbricazione di documenti falsi. Le altre ventidue sono state denunciate a piede libero per lo stesso motivo.
Investimenti nelle verifiche
Le forze dell’ordine hanno svolto verifiche incrociate con gli Uffici Immigrazione, per accertare l’assenza di requisiti per il soggiorno regolare. Le donne denunciate che risultavano irregolari rischiano l’espulsione dal territorio nazionale, misura che sarà adottata nei prossimi giorni.
La rete di produzione e vendita dei documenti falsi
L’inchiesta della Squadra Mobile di Udine sta approfondendo le persone che hanno fornito i documenti falsi alle badanti. Questi documenti venivano ceduti dietro pagamento, da 300 a 600 euro per ciascuno, facilitando così l’ingresso nel mercato del lavoro italiano con false credenziali. L’uso di questi documenti ha aggirato le normative sui flussi migratori e ha permesso l’accesso a prestazioni sociali e sanitarie riservate ai cittadini comunitari o ai titolari di permessi regolari.
Focus sugli autori della frode
Le autorità stanno ricercando chi ha costruito e venduto questi documenti contraffatti perché rappresentano il fulcro del sistema illecito. Scoprire questi canali aiuterà a bloccare altre possibili attività criminali di questo tipo e a controllare meglio l’ingresso sul territorio nazionale.
Prevenzione di nuovi casi e possibili coinvolgimenti di gruppi criminali
La polizia di stato di Udine continua le indagini per evitare che simili truffe vengano replicate da altre organizzazioni criminali straniere. Si ipotizza che gruppi provenienti da diversi paesi extra UE possano usare lo stesso sistema per ottenere documenti falsi e stabilirsi al di qua delle frontiere in modo illegale. Oltre ai rischi sul lavoro nero, questi gruppi potrebbero sfruttare la posizione acquisita per commettere ulteriori reati sul territorio italiano.
Indagini in corso e controlli
L’attività degli inquirenti si concentra ora non solo sull’individuazione di fornitori e intermediari, ma anche sul monitoraggio di nuove reti organizzate create con scopi illeciti, garantendo così un controllo più serrato sui flussi migratori e sulle condizioni di vita di chi lavora in Italia.